Tra gli anni ottanta e novanta il movimento rock e metal negli Stati Uniti era in fermento più che mai, e se da una parte si vedeva il proliferare di hair metal bands, dall’altra il thrash la faceva da padrone soprattutto nella bay area californiana, con gruppi del calibro di Metallica, Megadeth, Testament, Exodus e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, se da quelle parti il metal era visto con una sorta di “leggerezza”, qualcosa di più marcio fermentava nella solare e splendente Florida. Non solo bikini, surf e locali colorati; in questo territorio statunitense ardeva qualcosa di malefico che cambiò per sempre il modo di suonare e ascoltare il metal più brutale ed estremo. Ed è con il genio dei Death prima e poi dei vari Obituary, Morbid Angel, Deicide, Massacre, Atheist e decine di altre band, che venne coniato il termine “Florida Death Metal” che, ancora oggi, funge da punto di riferimento per quello che viene rappresentato come il death metal più ortodosso made in USA. La storia non può essere modificata ma col passare del tempo possono essere scritti nuovi capitoli, magari ispirandosi a tradizioni, usi e costumi. Questo è ciò che fanno i Caveman Cult. Questa realtà, che giace nelle viscere di Miami, semina terrore e odio dal 2014 anche se “Blood And Extinction” rappresenta solo la seconda fatica discografica sulla lunga distanza, segnando di fatto quello che può essere definito il lavoro più “ambizioso” della band, che ha registrato e prodotto il tutto con le proprie mani, per avere un maggiore controllo “artistico”, al fine di canalizzare al meglio la ferocia inaudita espressa in questi venti minuti di “musica” più incline, per la verità, al caos generalizzato.
Già dal moniker non si fatica a capire che qui i compromessi stanno a zero, questi tre cavernicoli sono realmente fermi all’età della pietra e non gliene frega un cazzo degli accorgimenti modernisti che può offrire una produzione più adeguata o di adottare soluzioni artistiche differenti: i nove pezzi contenuti in “Blood And Extinction” sono letteralmente tutti simili tra loro, spesso si ha difficoltà a riconoscerli tanta è la prepotenza, degna di un tirannosaurus rex; i bpm sono identici pezzo dopo pezzo e la distorsione compressa fa sì che non ci sia distinzione tra chitarra e basso, che insieme danno vita a sassi che la band ci scaglia in testa come se fossero una valanga. Il ritmo tribale disegna geroglifici incomprensibili sulle pareti della grotta lasciandoci inermi davanti a tanta brutalità che ci fa tornare in mente colleghi cavernicoli come Conqueror, Sarcofago e addirittura i mai dimenticati Bestial Warlust, alfieri di quel black metal incontrollato che caratterizzava la scena australiana nella prima metà degli anni novanta.
Con i Caveman Cult si assiste difatti a un ritorno di quelle sonorità debitrici di thrash metal ancestrale, death elementare e bordate hardcore, senza aperture verso soluzioni più melodiche o elaborate, lasciando tutto nelle mani di quello che può essere definito un suono “in your face”. La missione della band è attaccare selvaggiamente l’ascoltatore, che deve essere cosciente di cosa l’aspetta, tra disarmonie, urla disumane che provengono dal centro della terra, culti ancestrali, pipistrelli borchiati e racconti di battaglie con le clave. Implacabile e soffocante, questo è war metal nella sua essenza più sincera: un simulacro della violenza che controlla e domina la nostra essenza. Ogni brano che compone “Blood And Extinction” non ha riguardi per l’ascoltatore; è barbarie primordiale che non conosce resa. E al termine dell’ascolto rimarrà ben poco, come se fosse passato Attila in vacanza su un campo di fiori, cantando inni di violenza come “Conquistador De Hierro”, che difficilmente uscirà dalla vostra testa già dopo il primo ascolto. Per pochissimi, non per pochi.