Volete una bella epitome di quello che è stato il black metal finlandese negli ultimi vent’anni circa e di quello che in effetti continua ad essere ancora oggi nella sua manifestazione più rigorosa e tradizionalista? Bene, questo “Pimeyden Kosketus” (che in italiano significa qualcosa come “un tocco di oscurità” e vede la luce sotto l’egida della sempre attenta Purity Through Fire), terza fatica sulla lunga distanza degli Hautakammio potrebbe fare al caso vostro. La band in questione è attiva da una decina d’anni ed ha alle spalle due full length di solido e ortodosso black metal, con tutte le cosine finlandesi al loro posto: atmosfera mortifera, produzione casereccia, screaming demoniaco, blast beats come se piovesse e naturalmente le classicissime, sinistre e malinconiche melodie in tremolo. Il nucleo della line up vede coinvolti il chitarrista Grim666 (Kalmankantaja) e il batterista Lima (Azaghal) e la formazione è completata da Vritrahn, cantante dei White Death, che ha messo la sua ugola al vetriolo al servizio di questo disco. Disco che vede la luce a ben sette anni di distanza dal predecessore “Pimeyden Valtakunta”, quando i nostri eroi, “dopo essere marciti per quasi cinque anni” come loro stessi dichiarano, hanno deciso di far ripartire il progetto che era stato messo momentaneamente sotto naftalina. Il trascorrere del tempo non ha modificato di una virgola l’approccio nostalgico del gruppo, che è rimasto fedele alle proprie origini e al paradigma black metal che regna sovrano nella terra dei mille laghi. Anche in questa occasione quindi il gruppo segue le orme dei vari Horna, Behexen, Calavarium, Satanic Warmaster e compagnia, evocando tutto il consueto immaginario fatto di neve, foreste, montagne e tersi cieli notturni pallidamente illuminati da una luna invernale, con contorno di borchie, face painting e croci rovesciate.
Gli Hautakammio non hanno alcuna intenzione di essere o sembrare diversi ed in effetti non fanno nulla di particolare per diversificare la loro proposta da quella di moltissimi altri colleghi che pascolano nello stesso recinto: questo disco sembra essere stato composto nel 1997, messo in ibernazione e scongelato solo oggi per l’occasione.
C’è da dire però che, trattandosi di veterani della scena (tra l’altro molto prolifici con i vari gruppi in cui sono coinvolti), gli Hautakammio quello che suonano lo suonano bene e riescono ad essere efficaci ed a risultare perfino freschi, specie quando mescolano al meglio i pochi ingredienti che hanno scelto di utilizzare ed azzeccano la melodia giusta, che ti entra in testa e non se ne va più: è quello che accade ad esempio con l’opener “Harhaisen Mielen Turmlija” ed in misura ancora più convincente con “Pimeys Tuhoaa Valon Luoman” che, con il suo tremolo tanto semplice quanto ossessivo e ficcante, si guadagna a mani basse la palma di miglior episodio del lotto. È chiaro che chi mastica questo genere di sonorità (in pratica chiunque segua, anche distrattamente, l’underground black metal) sa già esattamente cosa aspettarsi ed è altrettanto evidente che un disco così concepito ha nella sua intransigenza sia il suo limite intrinseco che il suo maggior pregio, a seconda dei punti di vista o dello stato d’animo del momento.
Personalmente ritengo che dalla Finlandia sia uscito di meglio ma anche decisamente di peggio: gli Hautakammio si guadagnano quindi tranquillamente il loro posto all’inferno e “Pimeyden Kosketus” farà la felicità dei blacksters più duri e puri, che continuano (legittimamente) a guardare al passato come ad uno scrigno di tesori e ad un modello irripetibile.