Nuova fatica sulla lunga distanza per il progetto solista genovese Kolossvs, approdato ora alla corte dell’italiana My Kingdom Music. Questo “K” riprende il discorso stilistico, concettuale e musicale del predecessore “The Line Of The Border”, debutto pubblicato lo scorso anno (che a sua volta rappresentava la logica continuazione dello split in compagnia della one man band ManoN), del quale si porta dietro i molti pregi e qualche difetto. Resta ben presente l’amore del mastermind e polistrumentista Helliminator per la mitologia nordica e tutto l’immaginario letterario/spirituale che le gira intorno, e allo stesso modo continuano ad essere percepibili le influenze che derivano direttamente da un certo tipo di pagan/viking black metal “evoluto ma non troppo” e che ci riportano alla mente, fin dal primo ascolto, realtà come Borknagar, Vintersorg, Windir e gli Enslaved nelle loro manifestazioni meno cervellotiche e avanguardistiche ma già non più legate a doppio filo alla barbarica irruenza degli esordi. Questo è il quadro generale che si delinea fin dalle prime note dell’opener “By The Light, To The Dark”, introdotta dalle tenui chitarre acustiche dal tocco folk di “Dust”, e questi elementi li ritroveremo puntualmente in tutto l’album, che risulta coerente con le sue premesse ma lascia anche trasparire una mai sopita tendenza che potremmo in qualche modo definire “progressiva” (termine da intendersi in questo caso in senso lato). Anche questo è un tratto che accomuna questo lavoro a quello precedente, ovvero la voglia di tentare un approccio che, seppur non originale in sé, dà modo di apprezzare le diverse soluzioni adottate, in un continuo e caleidoscopico rincorrersi di pieni e di vuoti, di calma e di tempesta, di furia gelida e di momenti di riflessione ed introspezione, che creano contrasti non del tutto inaspettati ma comunque efficaci: e così piacciono in modo particolare l’uso intelligente delle clean vocals, che a volte assumono un’inflessione recitata e quasi teatrale; gli squarci più thrasheggianti che si aprono il varco quando la rabbia necessita di emergere in superficie; ed ancora i passaggi più dilatati che evidenziano un piglio al tempo stesso epicheggiante e malinconico.
Questo disco però, come detto, non è riuscito ancora ad eliminare del tutto le piccole lacune che avevamo riscontrato nell’album precedente. Mi riferisco, da un lato, ad una certa tendenza alla prolissità, che a tratti finisce per diluire troppo, a mio giudizio, le buone idee che costellano i pezzi (laddove invece queste sono, al contrario, più concentrate, la tensione non cala ed i brani risultano più ficcanti: su tutti cito “The Last Of The Titans” e “Outsider”) e, dall’altro, ad una produzione che, a mio avviso, è probabilmente ancora troppo polverosa e poco potente, più adatta forse ad un album black in senso stretto.
Ad ogni modo si tratta di peccati veniali perché la sostanza c’è e risulterà evidente a chiunque abbia orecchie per ascoltare. In definitiva “K” è un buon lavoro, per molti aspetti “gemello” di “The Line Of The Border”, rispetto al quale si pone in un percorso che non mostra soluzione di continuità ma lascia anche trasparire una maggiore consapevolezza d’intenti ed una maggiore maturità compositiva ed esecutiva: piacerà sia ai seguaci del black metal tout court sia a chi non disdegna divagazioni più ariose e magniloquenti, sempre declinate con la giusta dose di violenza.