Avevo avuto l’impressione che gli Hexenbrett fossero dei piccoli genietti del male fin dalla pubblicazione, nel 2019, del loro ep d’esordio “Erste Beschwörung”. E l’impressione è stata ampiamente confermata dall’uscita, l’anno successivo, del full length “Zweite Beschwörung: Ein Kind Zu Töten”, a mio giudizio una delle sorprese più positive ed inaspettate del maledetto anno 2020. L’enigmatico duo tedesco formato da Josto Feratu e Scarlettina Bolétte infatti è emerso dalle catacombe, ancora ricoperto di polvere e ragnatele, con una manciata di canzoni nelle quali il vecchio black metal va a braccetto con una serie di influenze disparate, tenute insieme da un piglio gotico/orrorifico particolarmente cinematografico: un mefitico frullato di Varathron, Danzig, Goblin e Mercyful Fate (e pure qualcos’altro), che puzza di vecchio ma riesce nel contempo ad essere anche abbastanza originale, catapultando l’ascoltatore direttamente nel bel mezzo di qualche pellicola anni sessanta/settanta, tra castelli umidi, vampiri che si aggirano nell’ombra e zombi in putrefazione. Queste gustose atmosfere weird/horror vengono pienamente conservate anche in questo “Intermezzo Dei Quattro Coltelli Nudi”, che già dalla copertina e dal titolo in italiano (non è la prima volta che gli Hexenbrett usano la nostra lingua; sull’album citato è infatti presente una canzone intitolata “Attraverso Sette Porte All’Inferno”) sembra voler rievocare qualche giallo made in Italy dell’epoca d’oro del genere: non si tratta però di un “incantesimo” (“beschwörung”) come nel caso delle prime due uscite della band ma appunto di un’intermezzo, in quanto i pezzi qui presenti sono stati registrati da quella che avrebbe dovuto essere la line-up live per il 2020, ovviamente sotto la supervisione dei due componenti effettivi della band, autori dei testi.
Vi è comunque un’evidente adesione al sound targato Hexenbrett come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi ma giustamente i nostri amici ne approfittano per dare sfogo a qualche pulsione bizzarra e sperimentale, che magari più difficilmente potrebbe trovare collocazione in un album, e per omaggiare doverosamente i Misfits, che sono senz’altro tra i loro numi tutelari, a livello di immaginario ed in certa misura anche di influenze musicali più dirette, con una cover molto ben fatta, trascinante e decisamente heavy/rock di “Return Of The Fly”. Per il resto ci troviamo di fronte a tre canzoni in bilico tra stranezza e continuità: l’opener “Die Teuflischen Von Acapulco (Satan Sangre)” ad esempio parte come la classica black/heavy song bella sporca e tirata per poi evolversi, nella sua parte finale, niente meno che in un delirio di chitarre acustiche spagnoleggianti e di assoli di tromba (mi pare giusto, visto che il testo parla di un diabolico figuro messicano): questo tanto per chiarire subito il livello di anomalia ai limiti dell’avantgarde che la band raggiunge con naturalezza in questo ep. “Joie De Mort” è invece un suadente brano strumentale che, tra bongos, pianoforte e chitarra, parrebbe uscito da qualche jam session estremamente fumosa e alcolizzata dei Coven o dei Black Sabbath. Infine “Sadist”, il brano più classicamente Hexenbrett del lotto, chiude alla grande tra vecchio black metal, reminiscenze heavy, tastiere cimiteriali e quel feeling macabro che per quanto mi riguarda è già un marchio di fabbrica del combo teutonico. Secondo quello che la band dichiara questo breve “intermezzo” non è una sorta di anticipazione di quanto potremo ascoltare nel prossimo lavoro sulla lunga distanza: si tratta piuttosto di un esperimento, a mio giudizio molto riuscito, che gli Hexenbrett sfruttano bene per ampliare lo spettro della loro creatività, restando d’altra parte comunque fedeli al loro approccio retrò, che in questo caso tracima in territori musicali inusuali ma contigui rispetto a quanto fatto nel recente passato. Probabilmente continueranno a conoscerli in pochi ma io personalmente li trovo validissimi e sono molto curioso di ascoltare il loro prossimo album.