Arroganti, eccessivi, blasfemi, primitivi, ecco a voi gli israeliani Svpremacist, band che (a scanso di equivoci e nonostante il nome) mi sento di escludere abbia connotazioni politiche di qualsiasi tipo (così evitate di scandalizzarvi o di bagnarvi le mutande, a seconda dei casi). Ed escludo anche che il moniker abbia a che fare con il movimento artistico avviato in Russia da K. Malevič nel secolo scorso. Infatti la loro “filosofia” è perfettamente riassunta in una canzone come “No Life Matters”, che ci fa capire, senza troppi fronzoli e con buona pace di tutti quanti, quale sia il loro approccio: cinico, odioso, becero e, per quanto riguarda il lato prettamente musicale del discorso, dannatamente old school. A proposito del concept l’ensemble di Tel Aviv precisa: “la morte è un’icona e un riflesso del tuo stesso panico di perdere qualunque cosa a cui ti aggrappi per sentirti vivo, il tuo mucchio puzzolente di dogmi e bugie come la spiritualità e l’identità di sé. Tu non sei niente!”. Chiaro? Cristallino, direi. I nostri quattro esagitati amici definiscono il loro stile “black fuck you metal” (dal titolo del loro primo ep pubblicato nel 2018) e si tratta in sostanza di un black/thrash/death metal delirante, abrasivo e ad alto contenuto di ottani, sulla scia dei vari Sarcofago, Vulcano, vecchi Sepultura, Aura Noir, Vomitor e compagnia schifosa, che potrà piacere tanto ai thrashers più attempati, che girano ancora fieramente con il gilet di jeans pieno di toppe, quanto ai punk della vecchia scuola.
Lontani anni luce dalle tentazioni più “colte” di tanto black metal attuale, i Svpremacist tengono fede al piglio più nichilista e sgangheratamente malvagio (alla Venom per intenderci) del metal estremo anni ottanta, quello che mescolava in una brodaglia primordiale le influenze che avrebbero di lì a poco dato origine ai vari generi così come oggi li conosciamo: riffoni thrashosi, batteria infuocata e dal suono polveroso, screaming/growling pastosissimo e ovviamente quei classicissimi e freneticissimi assoli che arrivano come un fulmine a ciel sereno quando meno te l’aspetti (o alla cazzo che dir si voglia), marchio di fabbrica inconfondibile di questo modo di suonare. Il tutto (non c’è bisogno di dirlo) incorniciato da una produzione polverosa e all’insegna dell’analogico, che rifugge come la peste ogni diavoleria moderna (“nessuna stronzata digitale!” dichiarano, tanto per ribadire il concetto). Una formula semplice e collaudata che riesce, nonostante gli anni che passano, a scatenare ancora quel caos infernale che ci piace tanto e che ci fa muovere su e giù la testolina assumendo un’espressione compiaciuta.
L’album non dura nemmeno mezz’ora (ma, ehi, anche “Reign In Blood” durava poco) e va bene così perché una tale esplosione nucleare deflagra e si esaurisce per forza di cose in pochissimo tempo, lasciando però poi soltanto macerie. E di sicuro non è interesse dei Svpremacist andare troppo per il sottile: loro arrivano, distruggono tutto e se ne vanno a bere una birra dopo aver sonoramente bestemmiato. E per quanto siano cocciutamente prevedibili e orgogliosamente anacronistici, sfido chiunque a rimanere impassibile all’ascolto di una scheggia nevrotica come “Under Siege”, della super energetica opener “Witches” o di un pezzo granitico come “Godkiller”, delicata come un cubo di porfido scagliato in pieno volto. Dategli un ascolto ma, che vi piaccia o no, c’è da giurare che ai Svpremacist non fregherà niente e continueranno imperterriti a somministrarci anche in futuro le loro possenti badilate sulle gengive senza cambiare di una virgola il loro modo di intendere il metal.