Inutile girarci intorno, Hrafn, o in questo caso Dominus, è malato di iperattivismo, perché non è normale tenere in piedi un numero così elevato di band attive e fare uscire costantemente dischi sufficientemente ispirati. Il nostro eroe, al secolo Paul Gibson, ha questo potere sovrannaturale: avrà fatto un patto col diavolo o con qualche altra entità diabolica? Difficile dirlo, l’unica cosa certa è che oggi abbiamo tra le mani il nuovo ep degli Úlfarr, per l’esattezza il secondo ep ufficiale dopo l’iconico “Hate & Terror – The Rise Of Pure Evil” del 2019. E dobbiamo ricordarci che il nostro beniamino ha all’attivo band come Morte Lunae, Nefarious Dusk, Skiddaw, Thy Diyng Light, Helvellyn, Whinlatter e altre, con le quali registra dischi con costanza: fondamentalmente una forza della natura. In “The Ruins Of Human Failure” non troviamo altro che l’espressione più sfacciata del black metal della Cumbria, il movimento creato nella contea britannica ai confini con la Scozia, del quale Hrafn è uno degli artefici e personaggi di spicco. Questa scena locale ricorda per attitudine quella norvegese di inizio anni novanta: cruda, sporca, rude e veloce, ed affonda le proprie radici in un thrash acerbo dai connotati punk, ma con un andamento più primitivo e volgare; il tutto molto basilare ma con un occhio di riguardo a tecnica esecutiva e produzioni di buon livello.
Mai titolo fu più appropriato, “The Ruins of Human Failure” è diviso in due parti ben distinte: la prima comprende la title track, in quattro parti, che sputa veleno e vetriolo per miglia intorno, scaricando ulteriore carburante e odio sul falò dell’umanità. Né più né meno, gli Úlfarr pure questa volta sono fedeli al loro sound, e affinano rispetto al precedente lavoro un’energia oscura e lugubre ispirata ai paesaggi desolati della loro terra natale, al clima inesorabilmente cupo e al disprezzo condiviso verso l’umanità delle zone sovrappopolate della moderna Gran Bretagna. Ascoltandolo attentamente, per alcuni aspetti questo ep risulta essere più primitivo del suo predecessore, più diretto e acerbo e ancora più headbanging-oriented; per altri invece si denota come la direzione della band (il disco è stato totalmente registrato da Dominus, che qui si occupa anche di missaggio e mastering; tranne che la batteria, programmata da Azrael) sia ben più definita e diretta sul tipico thrash d’impatto old school.
La seconda parte dell’ep consta di due brani presenti già nella prima demo self titled della band del 2011, riregistrati, e se la conclusiva “Cold In Death” è un’outro strumentale e lugubre, la precedente “Forgotten By Time” rappresenta l’episodio più interessante del disco, distaccandosi dal classico materiale “in your face” e proponendoci quasi nove minuti di black metal atmosferico dai contenuti interessanti ma che rappresenta un caso isolato nella proposta furiosa della band. Gli Úlfarr sono sinonimo di black metal britannico (ops, della Cumbria) senza compromessi e antisociale, veloce e bastardo come un pugno dato alle spalle e, dopo dieci anni di dedizione alla causa, continuano ad alimentare la fiamma del black metal tradizionale, sulla scia dei classici Craft, Darkthrone, Mayhem, One Head One Tail e chi più ne ha, più ne metta. Se si è amanti di sonorità più ricercate meglio stare alla larga da questo ep, ma chi ama il black metal ignorante, senza fronzoli e senza speranza, troverà in Dominus il suo migliore amico.