Duo formato da Resurgemus (chitarra, voce) e Asbath (batteria) dei ben più noti Darkestrah, originari del Kirghizistan ma da tempo trapiantati in Germania (a Lipsia appunto), Faustus è un side project ispirato al monumentale “Faust” di Goethe, qui all’esordio sulla lunga distanza, pubblicato in realtà nel 2019 ma che solo adesso riesce a godere di una distribuzione degna di questo nome. Diciamo che la cura di questo aspetto evidentemente non rientrava tra le priorità del gruppo, così come la continuità nelle pubblicazioni, dal momento che questo full length segue di ben quindici anni l’uscita della demo di debutto, “Symphony Disaster”, risalente all’ormai lontano 2004. Tutto ciò sembra essere coerente con lo spirito assolutamente autarchico e underground del progetto, che si allontana dalle influenze folk ed epicheggianti della band madre (di cui mi preme menzionare soprattutto il debutto-capolavoro “Sary Oy”) per tuffarsi a peso morto nella palude fredda e buia delle sonorità raw più tradizionali e integerrime. “Lipsia” infatti è un concentrato di true black metal vecchio stampo, che mescola, senza preoccuparsi minimamente di essere originale, evidenti suggestioni darkthroniane con uno spirito più dolente e malinconico, che potrebbe ricordare alcune cose dei primi Nargaroth o dei Judas Iscariot, così come tanto black metal di scuola tedesca (Vargsang, Graven e compagnia). Insomma, i riferimenti e le influenze sono chiarissime ed emergono con monolitica evidenza nelle tre tracce centrali dell’album (da “Natur Ist Sünde, Geist Ist Teufel” a “Der Drudenfuß Auf Eurer Schwelle”, che per inciso è anche il pezzo migliore del lotto), al netto di un’intro e dei due brani strumentali finali del tutto pleonastici, in particolare “Leipzige Mitternacht”: mi spiegate che senso ha una canzone che parte con un arpeggio nostalgico e ossessivo, ripetuto per circa quattro minuti (e ci può stare), e che poi si risolve in niente più che una specie di ticchettìo inutile per i successivi otto minuti? Sarà un colpo di genio che non riesco a comprendere ma tant’è.
Ad ogni modo i brani veri e proprio non sono assolutamente disprezzabili, specie per il loro andamento struggente e rabbioso e per le lugubri sottotrame melodiche che affiorano attraverso un riffing freddo e ossessivo, riuscendo comunque a catturare l’attenzione. A patto che riusciate a tollerare l’assenza del basso e della seconda chitarra, una resa sonora particolarmente secca e minimale, un’impostazione unidirezionale ed ossessiva e uno screaming che è quanto di più semplice e standard si possa immaginare, anche se non privo di una sua incisività espressiva. E naturalmente una registrazione artigianale, tanto che il tutto sembra essere stato inciso su un vecchio e scassato registratore a cassette in un seminterrato abbandonato (e anche questo ci può stare).
Che dire in definitiva? L’intento sembrerebbe essere quello di catturare per l’ennesima volta quel particolare feeling posseduto dalle vecchie demo black, ed effettivamente se un lavoro del genere fosse stato pubblicato a metà anni novanta oggi forse avrebbe acquisito il suo posticino nel grande libro dei “classici per intenditori” (tanto un po’ di culto non si nega a nessuno, o quasi) ma da musicisti scafati, che in passato hanno dimostrato di saperci fare, francamente mi sarei aspettato qualcosa di più: in fin dei conti però si tratta di un side project, di una valvola di sfogo per Resurgemus e Asbath, che probabilmente hanno qui incanalato le pulsioni più ingenue e “norvegesi” della loro creatività. E, considerato da questo punto di vista, il disco riesce a strappare una (generosa) sufficienza.