Parasite – Hossarjo 3

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Ensemble industrial black metal italiano dall’attitudine folle e degenerata, i Parasite vedono tra le proprie fila la partecipazione di membri di Brenvoliznepr e Phantazo (in realtà quest’ultimo progetto pare che sia stato riposto in soffitta, almeno per il momento) e, nonostante abbiano cominciato a far sentire i loro vagiti cibernetici soltanto dal 2020, hanno già alle spalle una demo e un ep, pubblicati nel 2021, che rispondono ai nomi di “Chapitellö 1” e “Altarèe 2”, entrambi caratterizzati da un immaginario antireligioso, condito da perversioni di varia natura, con contorno di sostanze psicoattive. Evidentemente la pandemia ha proiettato la sua ombra funesta sulle menti dei nostri amici (e, del resto, su quelle di tutti noi) perché questo “Hossarjo 3” prosegue sulla medesima strada, rincarando se possibile la dose ed accostando scenari post-apocalittici a blasfemie elettroniche in salsa porno (come potete vedere anche dalle fotine zozze qui sotto).

Dal punto di vista prettamente musicale ci troviamo di fronte ad un lavoro che si va ad inserire in un contesto non nuovo in senso assoluto: l’unione sacrilega tra black metal e sonorità industriali, che in questo caso virano decisamente verso lidi sintetici e artificiali, ha indubbiamente nei Mysticum e nei primi Aborym i suoi padri putativi ed è già stata tentata sul suolo italico, con alterne fortune, da varie realtà underground nel corso degli anni, come ad esempio Program 4, Throne Of Molok, Impure Domain e 3, progetto che a mio avviso è il più verosimilmente accostabile a questi Parasite, sotto il profilo stilistico e dell’approccio orgogliosamente “do it yourself”. L’ascolto dunque procura solo in parte un effetto sorpresa ma c’è da dire che i Parasite si vanno a posizionare con cognizione di causa in questo solco, in fondo non così battuto, dimostrando di sapere il fatto loro e di essere particolarmente abili nel manipolare questi due mondi musicali all’apparenza così distanti e differenti ma in realtà molto funzionali, nella loro commistione, a dipingere un certo tipo di scenari morbosi e degrada(n)ti.

E quindi via di beats pulsanti e robotici dall’andamento ossessivo ed ipnotico come se non ci fosse un domani, campionamenti rubati chissà dove, vocals urlate, filtrate e drogate, chitarre corrosive e soffocanti, con poche variazioni nel riffing di ogni canzone, per esaltare ancora di più la sensazione di claustrofobia e di straniamento: elementi che si alternano ma si mantengono pressoché costanti per tutto il lavoro e trovano nella conclusiva suite “The White Palace” la loro espressione più completa e un po’ l’epitome di tutto il disco. Gli amanti di questo genere di sonorità troveranno di certo in questa mezz’ora di musica pane per i loro denti marci: non vi resta dunque che indossare le vostre maschere antigas e profanare luoghi sacri (simbolicamente, ovvio) mentre le macchine compiono la loro definitiva rivolta contro l’umanità.