Dopo oltre vent’anni di onorata carriera alle dipendenze del signore degli inferi e quattro full length, la band di Michayah Belfagor è tornata con un disco che si preannunciava infuocato. Infatti “Mysterium Iniquitatis” è stato largamente anticipato, facendo crescere l’hype attorno ad esso, complice anche l’operazione di recupero del precedente lavoro, “Pentagrammaton” (2020), disco non del tutto inedito in quanto si trattava di un platter registrato a cavallo tra il primo ep del 1998 “Mystérion Tes Anomias” e il debut album “Tiamtü” del 2008, gelosamente custodito sotto il tappeto e riesumato in una nuova veste, con mix e mastering ad opera del guru Tore Stjerna. Al netto di incarcerazioni (sempre a cavallo di quegli anni maledetti che intercorrono tra il primo ep e il debut album) per storie di abusi ed altro, il nostro guerriero calvo è riuscito a creare un’aura di culto attorno alla sua creatura, pur passando tra cambi di line up e bruschi rallentamenti nelle produzioni, registrando ben quattro dischi di buona fattura di blackened death metal di evidente matrice svedese, tra echi di Funeral Mist, Ondskapt e Marduk. Pertanto cosa aspettarsi da questo “Mysterium Inquitatis”? Nient’altro che un disco degli Ofermod a 360°, tra pregi e difetti, dove lo stile della band è riconoscibile minuto dopo minuto senza lasciare spazio a sperimentazioni o divagazioni fuori tema. Sembra tutto già scritto e segnato, come se la band abbia registrato ciò che desiderano i fans senza cambiare una virgola della sua proposta e, a dire il vero, ci va benissimo così.
Sperimentazione non è necessariamente sinonimo di qualità; pertanto Belfagor e amici ci sputano in faccia cinquanta minuti di violenza più nera delle tenebre stesse, tra grandiosi ed epici riff, doppia cassa, blast e urla disumane, senza mai perdere di vista quelle linee melodiche, ma pur sempre angoscianti, tanto care alla scuola svedese. D’altronde gli Ofermod sono tra i pionieri del “black metal ortodosso”, in compagnia dei colleghi Malign e Funeral Mist; ed è quello che troviamo in questo disco: puro e cristallino black metal, senza fronzoli e dove nulla è lasciato al caso. Non aspettatevi violenza fine a sé stessa ma brani dove gli arrangiamenti sono maniacali, i cambi di tempo esasperati, il tasso tecnico elevato, con una produzione di alto livello a fare da sfondo agli otto versetti satanici. E se il buongiorno si vede dal mattino, la doppietta d’apertura ci porta dritti all’inferno, con i pezzi più belli del disco, senza nulla togliere all’epica “Arteria Uterina”, con il suo riff iniziale dal retrogusto abbathiano, né alla conclusiva e satanica “Loyal To Belial”.
Non è necessario gridare al capolavoro ma ogni singola nota deviata e perversa ci riporta alla scena estrema svedese di fine anni novanta, che aveva sempre un occhio di riguardo per le melodie più oscure, con atmosfere disturbate esaltate dalla prova vocale del figliol prodigo Nebiros, tornato dietro al microfono: un ritorno gradito dopo la già ottima performance nel debut album, che impreziosisce il lavoro con harsh vocals che sfociano in un cantato evocativo che riesce a rendere più profonda e dinamica la resa dei pezzi. Da veri ortodossi della scena gli Ofermod pure in questo disco non mollano di un centimetro e riescono a confezionare un lavoro che non ci farà smettere un attimo di sbattere la testa come psicopatici, tra violenza, riff intricati, cambi tempo e tanto groove. Un disco che va ascoltato più volte per essere assimilato, pur non scostandosi dalla sua essenza di classico blackened death metal svedese come tradizione insegna, o meglio, come gli Ofermod insegnano. Prendere o lasciare.