Questa volta facciamo una breve escursione in territori musicali un po’ diversi rispetto a quelli che siamo soliti bazzicare su queste pagine virtuali. Si tratta del solo project norvegese Hogstul, fondato nel 2019 da Kjetil Ytterhus (Profane Burial, ex Haimad, Khôra, Omnia Moritur), con l’intenzione originaria di proporre un’escursione puramente orchestrale con il materiale che il mastermind aveva composto nel corso degli anni. Tuttavia alle canzoni come inizialmente concepite sono state successivamente aggiunte, in varie sessioni e nel corso di due anni, la drum machine, le tracce di chitarra e basso e, infine, le vocals ed ha così visto la luce questo full length di debutto, pubblicato prima in formato digitale e poi fisico dalla connazionale Screaming Skull Records. “Ominous Fragmenta Tuptdalr” è un lavoro intimo e personale in quanto si presenta, per stessa dichiarazione del suo autore, come una raccolta di esperienze di vita reale convertite in musica, sotto forma di un black metal dal sapore avanguardistico, che si va ad innestare su un’oscura base orchestrale, con la violenza che va a sovrapporsi ad un substrato tastieristico che vorrebbe conservare il proprio piglio dolente e monumentale, senza che in realtà queste due anime stilistiche riescano a fondersi completamente l’una nell’altra: l’impressione che ho avuto in effetti è quella di una non perfetta coesione tra questi due elementi, dovuta probabilmente alla genesi compositiva del disco; cosa che non ne favorisce di certo l’immediata fruizione, anche perché siamo di fronte a tre pezzi di durata davvero considerevole e privi delle classiche strutture che caratterizzano la tipica forma-canzone.
Tre pezzi costruiti però sostanzialmente nello stesso modo nel tentativo di dipingere paesaggi dell’anima tinti di nero, cupi ed inquietanti, e di dare corpo a questa sorta di sfaccettato zibaldone musicale, con note barocche di pianoforte che si inseguono in sottofondo quasi senza soluzione di continuità, sulle quali si stagliano gli intrecci chitarristici e i battiti della drum machine, che disegna molti ed improvvisi cambi di tempo: siamo un po’ dalle parti dei dischi solisti di Ihsahn, con una teatralità di fondo che non rifugge dalla rabbia espressiva e che potrebbe richiamare certi Arcturus o Parnassus, meno noto (ma meritevole) solo project di Fredrik Söderlund. Si tratta più che altro di suggestioni perché comunque la strada percorsa è abbastanza peculiare, e questo è certamente un merito da sottolineare, così come la coraggiosa impronta progressiva dell’album e l’indubbia voglia di sperimentare soluzioni in certa misura sorprendenti (almeno per l’ascoltatore medio che si ciba costantemente di metallo nero), ma il disco finisce per lasciare un po’ interdetti, anche dopo diversi ascolti e compiendo lo sforzo di sintonizzarsi quanto più possibile sulla stessa lunghezza d’onda dell’autore.
Questo sforzo creativo ottiene infatti come risultato la composizione di tre canzoni interscambiabili perché in effetti molto simili tra loro, per non dire identiche: e se a questo aggiungiamo una prestazione vocale abbastanza monocorde e scelte di registrazione non adeguate, che ci restituiscono suoni ovattati e francamente troppo poco delineati per il genere proposto (una produzione più nitida in questo caso avrebbe giovato), ecco che il platter finisce per risultare a tratti perfino estenuante e sicuramente non esaltante. Un giudizio questo che non vuole essere assolutamente una bocciatura senza appello perché questo “Ominous Fragmenta Tuptdalr” è il classico disco di difficile valutazione oggettiva (per quanto una valutazione oggettiva sia in realtà sempre difficile): e quindi se volete intraprendere un viaggio paradossale e labirintico, a cavallo tra orchestrazioni e black metal nella sua accezione più riflessiva e sofferente, accomodatevi pure e lasciate la vostra mente libera di vagare.