In fondo, lo sappiamo tutti. Quando il metal, specie quello estremo, diventa troppo sofisticato, elegante e ricercato, c’è bisogno di gruppi che suonano con la clava musica di pessimo gusto e registrata in maniera approssimativa, per rimettere a posto le cose e ricondurre il tutto nella giusta dimensione. È il caso degli inglesi Necromaniac: inglesi per convenzione, visto che la band è di stanza a Londra ma i membri che la compongono arrivano da mezza Europa: Grecia, Spagna, Polonia e Svezia ed è gente non priva di esperienza, che suona, tra l’altro, in Macabre Omen e Nightbringer; il che conferisce un tocco esotico e sfuggente che non cambia l’essenza putrida del loro metal becero e primitivo. I nostri necroeroi dall’abbigliamento sobrio ed elegante hanno esordito nel 2015 con questa necrodemo di “metallo morboso”, che sembra sbucata dalla melma del tempo dopo essere rimasta sepolta a prendere umidità in qualche cantina dal 1989 o giù di lì.
E naturalmente una necroetichetta come l’irlandese Invictus Productions non poteva permettere che una chicca simile restasse priva di adeguata distribuzione (ovviamente adeguata rispetto agli standard underground del prodotto in questione) ed ecco il motivo di questa ristampa, in formato tape come l’originale, perché il signore degli inferi non gradirebbe un suono troppo pulito: i fruscii del nastro, la cacofonia di fondo e l’effetto “turboaspirapolvere” devono restare lì, in bella mostra, per glorificare al meglio il caprone. E quindi abbiamo un necrosound che si adatta alla perfezione alla proposta della band, che sa di “vecchio” da ogni parte la si guardi, andando a pescare a piene mani suggestioni ed influenze dirette da quel periodo a cavallo tra anni ottanta e novanta che ha fatto da incubatrice alle varie diramazioni del metallo estremo così come oggi lo conosciamo: e allora vai di Celtic Frost, Possessed, primi Mayhem, primi Kreator, Morbid e Treblinka ma anche Nifelheim, Poison (quelli tedeschi ovviamente), primi Tormentor, Vomitor, e chi più ne ha più ne metta. Senza trascurare l’irruenza casinara e blasfema del proto-black sudamericano, e in particolare brasiliano, e ancora più in particolare della mitica scena di Belo Horizonte. Questo è il calderone mefitico nel quale galleggiano i pezzi di “Morbid Metal”, che virano più verso i territori del death/thrash più lurido e d’annata piuttosto che verso lidi black propriamente detti, sia per quanto riguarda il riffing che per quanto riguarda il cantato, che è in sostanza un rantolo ringhioso, diabolico e sospirato che non si trasforma mai in un vero e proprio screaming: diciamo che l’elemento black è più confinato e si manifesta soprattutto a livello di sporcizia sonora e di immaginario estetico evocato dalle note.
Ma in quanto a ferocia compositiva e crudezza esecutiva non ci si può proprio lamentare: la musica dei Necromaniac è sudicia e cattiva, anche se qui dentro non c’è assolutamente niente che non sia stato già sentito migliaia di volte o che possa risultare anche lontanamente sorprendente. Un’uscita che, a mio avviso, colpisce comunque nel segno perché è semplice, genuina, piena zeppa di necroattitudine e si fa piacere anche per la sua breve durata, che la rende ficcante e d’impatto: quindi perché non ascoltarla, anche se va ad inserirsi in un panorama underground superaffollato, dove prodotti-revival di questo tipo sono all’ordine del giorno? E dirò di più: se dovessero sviluppare una maggiore personalità con le prossime releases, i Necromaniac potrebbero anche ritagliarsi il loro piccolo spazio di “culto”.