Due cose balzano subito alla nostra attenzione, la prima è che ci troviamo di fronte all’ennesima release di una black metal band finlandese, pertanto nulla di nuovo; la seconda, che è l’effettiva novità, riguarda il fatto che i componenti della band sono (tranne il drummer) totalmente sconosciuti alla scena underground locale, caso più unico che raro al giorno d’oggi. Questo lascia pensare che la band suonerà con personalità proponendo qualcosa di nuovo; invece, udite udite, nulla di più sbagliato: gli Aesthus suonano classico black metal di scuola finlandese, senza cambiare una virgola della proposta trita e ritrita di tante altre band. Che sia un male o un bene a noi poco importa, sarete voi a decidere le sorti di questa ennesima ciurma di disturbati che amano il face painting e farsi le foto nelle foreste. Dopo una demo nel 2020, i fabbri del diavolo di Turku escono sul mercato con il loro debutto sulla lunga distanza, propinandoci quasi quaranta minuti di violenza satanica che non lascia speranza a chi vi si addentra; lo schema seguito dalla band è il solito, che per certi versi è vincente: un massacro di velocità e blasfemia spesso fine a sé, stesso, dove raramente è concesso qualche rallentamento ma che si fa ascoltare piacevolmente a patto che non si stiano cercando inventiva, funambolismi o modernismi. Le facce dei componenti della band, nascoste da trucco e sangue finto, non lasciano presagire nulla di buono, così come il loro certamente alto tasso alcolemico fa sì che non vorrete mai avere a che fare con questi brutti ceffi, che nel secondo millennio sembrano essersi fermati a venticinque anni fa, tanto la loro proposta è radicata alle tradizioni della terra madre.
Il fuoco gelido del paradigmatico black metal finlandese già ardeva brillantemente, ora a quella fiamma si aggiungono loro, gli Aesthus, che con questo disco dai connotati orgogliosi e puri hanno tutte le carte in regola per ritagliarsi una fetta di estimatori della scena underground, soprattutto quella che riflette l’aura del classico black finlandese della fine degli anni novanta, sulla scia dei Sargeist o degli Horna, quanto a violenza e velocità, senza dimenticare i più recenti Malum. Se di sicuro non possiamo parlare di capolavoro o di un album con personalità, ciò che si percepisce è che gli Aesthus sono a tutti gli effetti una vera band e che il disco è frutto di un lavoro di squadra, per quanto è compatto e coeso.
Sette capitoli intrisi di sangue e ghiaccio si susseguono senza soluzione di continuità, accomunati dalla velocità esasperata e dalla violenza cinica di ogni esecuzione; non passerà alla storia nessun singolo brano, ma è innegabile che composizioni come la title track, “Kuolonpolku” o “Jälkeläinen “ ci faranno fare un bel balzo sulla sedia, mentre nella conclusiva “Tyhjyys, Ikuinen Kuolema” la band riesce a mettere in luce tutte le proprie capacità compositive: una vera e propria suite di oltre dieci minuti che mette in rassegna il lato più epico; la velocità esasperata lascia sprazzi di terreno a elementi atmosferici che ci riportano in una dimensione più mistica, con le vocals di Adversa che variano in un cantato pulito molto evocativo, arricchendo il valore del pezzo. Ogni elemento, dal riff malinconico e monolitico, alla batteria martellante, così come le vocals acide rigorosamente in madre lingua, convivono in un perfetto equilibrio grazie anche all’ottimo guitarwork delle due asce infuocate di Nachash e Morbus, che duellano dall’inizio alla fine senza tregua. “Hänen Temppelinsä Varjoissa” risulta una buona prova di una band che ha le idee ben chiare, alla quale non frega nulla delle tendenze odierne e che preferisce rimanere ancorata alle usanze e tradizioni locali più losche. Chi ama il più classico black metal finlandese ortodosso qui troverà neve per i propri denti.