I Velch hanno esordito lo scorso anno con l’album “Inter Sidera Versos”, di cui abbiamo parlato sulle nostre pagine virtuali, disco di granitico e classico black metal, caratterizzato da sonorità che affondano le loro radici profonde negli anni novanta, ovvero il decennio di maggior splendore del nostro genere preferito. L’occasione era quindi propizia per far luce su questo primo lavoro e, più in generale, su tutto ciò che ruota intorno alla band italiana. A rispondere alle nostre domande è S., cantante e chitarrista. Buona lettura!
Vuoi raccontarci la storia della band?
Il progetto Velch vede la luce in piena pandemia, nell’aprile del 2020. Iblis ed io avevamo già da qualche anno l’idea di dar vita ad una band ma per motivi organizzativi legati ad altri impegni musicali non eravamo riusciti nel nostro intento. Il lockdown, paradossalmente, ci ha “avvicinati” e, se vogliamo, ci ha dato modo di iniziare questo nuovo percorso. A noi si sono uniti Zeyros e David Folchitto, legato a me da una vecchissima amicizia e con il quale avevo già suonato nei Nerodia, la mia vecchia band. Dallo scorso mese di gennaio però, Zeyros ha abbandonato Velch per motivi personali e abbiamo deciso di proseguire in tre, senza cercare un sostituto. Ho dovuto riarrangiare un pochino i pezzi per poterli suonare con una sola chitarra senza snaturarli e debbo dire che siamo soddisfatti di come sta proseguendo questa avventura. Ci piace moltissimo questa nuova dimensione come power trio.
Qual è il significato del nome Velch?
Velch è il dio Vulcano in lingua etrusca. Sentivamo con Iblis l’esigenza di fare qualcosa legato alla nostra terra, che potesse rappresentare le nostre origini e la nostra splendida cultura, ed il nome del progetto non poteva non esprimere tutto ciò.
Qual è stato il processo di composizione di “Inter Sidera Versos”? Siete soddisfatti del risultato finale?
Data l’impossibilità di poterci vedere per provare insieme in studio, siamo stati costretti a dedicarci separatamente alla stesura dei pezzi. Avevamo qualche riff chiuso nel cassetto e siamo partiti da lì per poi lavorare insieme agli arrangiamenti non appena è stato possibile uscire di casa. Una volta terminate le preproduzioni abbiamo contattato i Kick Recording Studio di Marco “Cinghio” Mastrobuono per registrare le batterie, mentre il resto è stato tutto registrato nei nostri studi, mixato e masterizzato da Zeyros. Sì, il risultato ci ha molto soddisfatto soprattutto perché non suona di plastica, finto, come molte delle nuove produzioni.
Su cosa sono incentrati i testi dell’album? C’è un filo conduttore tra di loro?
Non posso parlare di concept nel senso stretto del termine ma i testi hanno indubbiamente un filo che li lega. Tutte le liriche sono un “critica” al postumanesimo ed al transumanesimo, filosofie e scenari inquietanti a mio modo di vedere, molto in voga soprattutto negli ultimi anni. L’applicazione di tecnologie per abbattere i limiti dell’umano (come la malattia, l’invecchiamento, la sofferenza, perfino la morte), il ridiscutere il concetto di umano in quanto “realtà superata”, e la meccanizzazione dell’uomo, è qualcosa che mi spaventa; così come il discostarci sempre più dalla spiritualità e dalla ricerca della stessa, cosa che tali correnti di pensiero nemmeno troppo tacitamente sembrano propugnare.
Se doveste definire la vostra musica, quale “etichetta” utilizzereste? Ci sono alcuni gruppi che rappresentano per voi una sorta di punto di riferimento o fonte d’ispirazione?
Suoniamo black metal. Le etichette ed i sottogeneri servono solo per far sentire a proprio agio i fruitori nel momento in cui debbono scegliere se ascoltare qualcosa piuttosto che altro. È una sorta di comfort zone; metti il bollino e automaticamente sai se una band o un album ti interessa o no, senza nemmeno dedicare qualche minuto per ascoltare. Che sia sinfonico, melodico, epico, sempre di black metal parliamo.
Il vostro approccio al black metal mi è sembrato molto classico, un po’ in bilico tra Svezia e Norvegia. Pensate che questa sia la dimensione ideale per i Velch per esprimere ciò che la band ha da dire?
È quello con cui siamo cresciuti e che maggiormente ci influenza. Band come Mayhem, Immortal, Dark Funeral, Marduk, Satyricon, ovviamente ci hanno formato sia come ascoltatori che come musicisti quindi, vuoi o non vuoi, nel momento in cui scrivi musica è naturale muoversi su certi territori. Ciò detto non ci limitiamo a copiare o ripetere quello che altri hanno fatto prima di noi ovviamente. Pur non ricercando chissà quali sperimentazioni cerchiamo sempre di arrangiare nella maniera più personale possibile i brani, e lo sforzo, se così si può dire, è premiato dai feedback che riceviamo: difatti, fortunatamente, non siamo mai stati accostati ad una band in particolare, proprio per le varie anime della nostra proposta.
“Eroico Furore” è un pezzo un po’ diverso rispetto agli altri, sia per lo stile adottato, sia per l’uso della lingua italiana. Perché queste scelte?
Il testo non è frutto del mio lavoro ma è elaborato da “Degli Eroici Furori” di Giordano Bruno, testo scritto dal filosofo a Londra nel 1585. Ho scelto questo testo perché ben si incastona nel contesto delle liriche di “Inter Sidera Versos”. Riguardo la parte strumentale, posso dirti che volevamo qualcosa di un po’ più epico, di meno veloce e più cadenzato, che sorreggesse e si legasse al meglio con il mood delle liriche. Ci piace molto poter cantare in italiano ed apprezziamo le band che si cimentano con la nostra lingua, perciò abbiamo tentanto questo esperimento che devo dire è riuscito alla grande. Per “Eroico Furore” è in preparazione un video di una versione alternativa (di più non posso dire) che vedrà la collaborazione di un ospite alla voce.
Oggi come oggi si può parlare di una “scena” black metal italiana o piuttosto ci sono diverse realtà locali che si sviluppano in un ambito più limitato?
Non nascondo che trovo alcune difficoltà nel parlare di scena italiana, e mi riferisco al metal in generale, non solo al black metal. Se osservo quello che accade intorno a me vedo più che altro una serie di combriccole di personaggi che supportano chi conviene supportare, o i loro amici. Non vedo unione, e non l’ho nemmeno mai vista. Parlare di scena è solo un esercizio retorico, nulla più. In questo contesto poco edificante però, ci sono persone, non moltissime a dire il vero, che mi sento di stimare molto, che amano la musica e si sbattono per il movimento, che amano sostenere le band, con alcune delle quali nel corso degli anni ho stretto una sincera amicizia.
Cos’ha portato (e cosa ha tolto) l’utilizzo massiccio della rete ad un genere come il black metal, comunque destinato a rimanere di nicchia, almeno nelle sue manifestazioni underground?
Sicuramente il black metal ora gode di moltissima visibilità e molte realtà che un tempo raggiungevano solo i cultori e gli appassionati del genere adesso riescono ad emergere con meno difficoltà. Il problema, a mio modo di vedere, non è la rete o il suo utilizzo, ma la mancanza di curiosità soprattutto da parte delle nuove leve e il modo con cui si approcciano all’ascolto della musica. Il problema è culturale e profondo; quanti hanno la voglia ed il piacere di sedere sul divano e leggere un booklet mentre ascoltano un album? Ora tutto deve essere consumato velocissimamente, divorato. La rete è croce e delizia, come la TV o la radio.
Com’è nata la collaborazione con la Wine And Fog Productions e con la The Oath? Siete soddisfatti dell’attività di promozione svolta?
Con Wine And Fog debbo dire che la collaborazione è nata quasi per caso. Cercavo in rete chi potesse stampare “Inter Sidera Versos” in formato tape e ho scoperto questa grande realtà. Ci siamo sentiti con Ezio e Valerio e nel giro di qualche settimana eravamo d’accordo su come procedere. Loro meritano un grande plauso, perché sono ragazzi eccezionali che amano la musica, amano il black metal e le realtà underground. Non posso che parlarne bene, e sicuramente la nostra collaborazione proseguirà. Con la The Oath il discorso è diverso, perché Iblis conosce da una vita Domenico, sono amici di vecchia data, ed è bastata una telefonata di pochi minuti. Siamo molto contenti del lavoro che abbiamo svolto con le due etichette.
Vi siete già esibiti dal vivo? Com’è l’esperienza live per i Velch?
Il primo live lo abbiamo fatto in piena pandemia, ad ottobre 2020, salvo poi fermarci per i noti motivi, per poi riprendere lo scorso dicembre per la presentazione dell’album. Adesso abbiamo in programma qualche data in Italia e anche qualcosa all’estero ma dopo l’estate. Per noi esibirci dal vivo è fondamentale, e non smetteremo mai di farlo. Pochi fronzoli, poche diavolerie tecniche; chitarra, cavo e amplificatore, il nostro è un approccio molto diretto, non amiamo orpelli digitali, quello che ascoltate sul disco è quello che ascoltate dal vivo.
Volete dirci qualcosa a proposito dei molti altri progetti che vi vedono coinvolti?
Per quello che mi riguarda attualmente sto riprendendo a lavorare al mio progetto solista Serpico (drone/doom) in vista di un secondo album; sto lavorando con calma perchè ho moltissime idee e devo mettere un po’ di ordine. “1978”, il primo album di Serpico ha avuto ottimi feedback, pur uscendo solo in formato digitale (purtroppo in piena pandemia trovare un’etichetta disponibile a stampare è stato impossibile) e non vorrei deludere le aspettative. Iblis invece, in queste settimane è impegnato con le registrazioni del nuovo attesissimo album di Funeral Oration, e da quel pochissimo che ho ascoltato posso dire che sarà ancora una volta un bellissimo lavoro; inoltre ha terminato il nuovo album di Orgg e a breve tornerà a pubblicare qualcosa con il suo solo project Iblis.
Cosa dobbiamo aspettarci dai Velch per l’immediato futuro?
Ci siamo già messi al lavoro per quanto riguarda il nuovo album; sarà piuttosto diverso da “Inter Sidera Versos” ma non voglio anticipare troppo. Durante l’estate entreremo in studio ed inizieremo a registrare i nuovi brani. Riguardo l’attività live non ci fermeremo di certo, dobbiamo assolutamente recuperare il tour in est Europa che abbiamo dovuto posticipare, e stiamo cercando di chiudere qualche altra data “europea”.
Lascio a te le ultime parole, come di consueto, per terminare l’intervista…
Per aspera, ad astra.