A volte sulle nostre pagine virtuali decidiamo di dare spazio a realtà che con l’universo black metal propriamente detto hanno un rapporto solo indiretto e tangenziale ma che risultano in qualche modo affini allo stesso, per un certo tipo di atmosfere o per l’immaginario evocato. È il caso di questi The Gates (nome non casuale, considerate le tematiche trattate dalla band), duo misterioso proveniente dal Canada di cui si conosce ben poco, ad eccezione degli pseudonimi dei musicisti che lo compongono, ovvero Galigula alla voce e King Baal a tutti gli strumenti. I nostri amici si presentano con questo “…Of Pandemonium”, esordio diretto sulla lunga distanza; un album abbastanza particolare di “magik metal”, per usare la definizione che la band stessa fornisce della propria musica e che corrisponde ad una mistura di rock occulto vecchia scuola e metal dai risvolti psichedelici, con un cantato parzialmente in screaming che è l’unico elemento che collega in certo qual modo la band al black metal dal punto di vista prettamente musicale. L’approccio visivo è classicamente “psych”, come si può facilmente intuire dalla copertina coloratissima che sembra uscita direttamente da qualche viaggio a base di funghi allucinogeni a cavallo tra anni sessanta e settanta, e questo tipo di estetica si riverbera sia nello stile musicale che nelle liriche, che combinano elementi occulti e riferimenti a certo cinema exploitation e più in generale di serie b tanto in voga in quegli anni.
L’album è perfettamente calibrato e i pezzi sono abbastanza brevi e ficcanti, ottimamente costruiti grazie alla combinazione di pochi ma efficaci elementi e carichi di quell’atmosfera occulta e di quel sapore retrò, a metà strada tra la rielaborazione e il sentito omaggio in chiave revival, che costituiscono l’elemento di maggior fascino di questa release, che potenzialmente potrebbe attrarre un pubblico non esclusivamente metal, ma ben più vasto, pur restando in sostanza un prodotto di nicchia. Certo, sonorità di questo tipo potrebbero oggi perfino sembrare in certo qual modo originali ma in realtà di tratta di una riproposizione, in questo caso con un cantato leggermente più estremo, di un certo tipo di rock che ha di sicuro influenzato buona parte dell’immaginario heavy, fin dagli esordi del genere: e mi riferisco a band storiche come i Coven o i Black Widow, tra le prime in assoluto ad inserire espliciti riferimenti ad un certo tipo di satanismo “acido” nelle loro canzoni, ed altre che hanno ripreso questo stile in tempi più recenti, come ad esempio The Devil’s Blood o Year Of The Goat, con sottotraccia influenze più “dure” provenienti in primis dagli immancabili Mercyful Fate.
Una miscela di sicuro effetto, che i nostri amici declinano con sapienza, tra chitarre settantiane fino al midollo, cori in voce pulita dal piglio teatrale e le onnipresenti tastiere versione organo che veicolano gran parte delle atmosfere del disco, tra visioni provocate dalle droghe e vapori sulfurei. Dopo canzoni dalla presa immediata come “Unlock The Gates”, “Dark Lord” e la quasi danzerecce “In The Gaze Of The Beast” (che credo davvero farebbe battere il piedino a chiunque), con il trionfo tastieristico della conclusiva e spettrale “The Ghost Of The Knight” si arriva alla fine di questo viaggio con la testa un po’ vuota, come dopo una piacevole sbornia, e con l’odore dello zolfo che resta nelle narici, ma indubbiamente soddisfatti. Come To The Sabbath, Satan’s There!