Si scrive Kvaen ma si legge Jakob Björnfot. Inutile girarci attorno, questa band è il frutto della mente geniale del polistrumentista svedese, che stupì il mercato estremo due anni fa con il debutto “The Funeral Pyre” dando la luce, tra lampi di classe e ammiccamenti al black metal di puro stampo svedese, a un album pressoché ineccepibile, dove tutto suonava alla perfezione ed era difficile trovare difetti. Ebbene, con questo nuovissimo “The Great Below” l’artista è riuscito ad alzare ulteriormente l’asticella grazie a otto canzoni per quaranta minuti di pura classe cristallina al servizio del metal più estremo, che spazia tra sfuriate black/death più canoniche, andando a visitare meandri più vicini al thrash o al metal classico, con venature progressive e atmosferiche, riuscendo nell’ardua impresa di bissare il successo del disco precedente. Se per ovvi motivi legati alle vendite possiamo definirlo ancora un lavoro prettamente underground, in realtà, per la qualità compositiva di ogni singola traccia, per la produzione perfetta e per l’accessibilità della proposta a un pubblico che va oltre una nicchia ristretta, “The Great Below” è un lavoro che segna un netto salto di qualità e non ci stupirebbe se portasse questo artista verso lidi più “mainstream” e case discografiche più blasonate. Impossibile non fare paragoni con il predecessore ma qui tutto suona estremamente più maturo, cosa già ben chiara sin dall’inizio, quando si vedono gli illustri ospiti presenti in questa fatica, ovvero virtuosi della sei corde come Jeff Loomis, Mike Wead e Sebastian Ramstedt, mentre dietro al microfono abbiamo personaggi dello spessore di “Nephente” Fridell, “Vreth” Lillmåns e Angus Norder.
E se nel debut la vena underground era più marcata, questa volta la maestria dei musicisti viene messa a disposizione dei brani che ci fanno tornare in mente i migliori Necrophobic oppure i Netherbird o altre band orientate al più classico blackened death metal melodico di scuola svedese. Un disco così non passa inosservato, a partire dall’opener “Cauldron Of Plagues”, un pezzo di furia cieca, spietato e assassino. Difficile trovare aggettivi per un brano così letale, che parte alla velocità della luce, subendo rallentamenti qua e là in favore del groove, senza perdere mai un minimo di violenza. E se la title track prosegue su velocità sostenute, complice quel mostro di Jeff Loomis nel solo, la seguente “In Silence” ci catapulta verso atmosfere più rilassate e distese; non a caso questa è la volta di Nephente dei Netherbird che, grazie alla sua teatralità, riesce a trasferire vibrazioni depresse e malinconiche a tutto il pezzo, vero e proprio viaggio malato nella mente umana, con un break centrale atmosferico da paura, prima di riprendere con una canonica sfuriata di blast beat. La scuola svedese riecheggia nella feroce “Damnation Jaws”, abbellita da un solo di Mike Wead, anche se è difficile trovare un pezzo che non trasmetta qualcosa di ben definito e particolare; ogni singola traccia è un vero e proprio tripudio di passione per il metal estremo, che concentra melodie malsane, atmosfere occulte e un elevatissimo tasso tecnico, grazie anche al pazzesco lavoro dietro le pelli del drummer ospite Tommi Tuhkala, capace di raggiungere velocità incredibili ma mai a discapito di fill sempre diversi e complessi; un vero e proprio valore aggiunto.
E mentre i minuti scorrono si giunge alla fine, passando per l’anthemica “Ensamvarg”, unico episodio con il testo in lingua madre, dalle venature quasi folk, dove emerge un ottimo lavoro di chitarra e batteria, tra cambi tempo continui, per uno dei pezzi più sperimentali di tutto il disco. In un’annata relativamente povera di uscite discografiche memorabili in ambito estremo underground, “The Great Below” riesce ad emergere e brillare di luce propria, candidandosi seriamente tra le migliori uscite di questa prima metà del 2022, grazie alla freschezza della proposta che, pur non aggiungendo nulla ai capolavori scritti nel passato, ne raccoglie l’eredità, aprendosi verso orizzonti più ampi, per quello che sarà un futuro roseo ma pur sempre tendente al nero.