È da qualche mese ormai che la parola Russia viene accostata indissolubilmente a tragiche vicende ma noi nel nostro piccolo vogliamo associarla oggi alla scena metal estrema locale, da sempre florida e interessante. Nonostante il caldo e il profumo di creme abbronzanti nell’aria, ecco irrompere i Veter Daemonaz con il loro debut album “Muse Of The Damned”, un’autentica ventata d’aria fresca, anzi un tornado impazzito che si abbatte con ferocia letale. La band è sufficientemente navigata ed esordisce sbattendoci in faccia un collaudato blackened death metal dalle tinte oscure; genere suonato da centinaia di gruppi, con la differenza che questi animali lo fanno con classe sopraffina, attraverso otto brani articolati e cervellotici, dove nulla è lasciato al caso e si alternano melodie macabre a sprazzi di tecnica non indifferente, con il focus costantemente sulla band nel suo insieme e non sul singolo strumento (quindi non aspettatevi virtuosismi ma un muro sonoro imponente e invalicabile). Si tratta di un disco di per sé canonico, con un’intro atmosferica, un brano strumentale a metà scaletta per smorzare gli animi, tanta cattiveria e violenza, ma è un lavoro molto complesso e ci si rende subito conto che un ascolto non basta per capire la qualità della performance.
Può accadere di trovarsi spaesati per la carne al fuoco messa in ogni singolo brano, tra riff e cambi tempo che non danno tregua ma, ascolto dopo ascolto, il tutto prende forma come un complesso disegno e si riesce a riconoscere la strada in questo labirinto mentale, tra invocazioni e liriche bestiali. Di sicuro traspare un piglio mistico che fa dell’oscurità malsana il suo punto di forza, e lo si percepisce dai primi passi dell’opener così come nelle battute finali della seguente “Under The Banners of Light”, orchestrali ed epiche che, seppur non in primo piano, rimangono lì ad abbellire una composizione già di per sé completa e articolata. Il massacro è servito con il blast beat incessante e il monolitico riff di “The Conqueror’s Crown”, che rallenta gelidamente in favore di un canonico 4/4 di rara bellezza ed epicità, con un cambio tempo letale che da solo vale l’acquisto del disco. “The Sun Into The Kingdom Of The Blind” è un resoconto di violenza, malinconia ed epicità, che potrebbe racchiudere da solo il mondo Veter Daemonaz, così come la conclusiva “Muse Of The Damned Part II”, probabilmente il pezzo più epico del lotto, che conclude il platter così com’era iniziato, in maniera fiera e orgogliosa.
Come spesso accade nei dischi Osmose Productions, la produzione è molto compressa ma di buon livello, anche se gli arrangiamenti dei synth soffrono un po’ la potenza e il caos delle chitarre, ma si riesce a distinguere tutto abbastanza bene senza doversi sforzare eccessivamente. Se si dovesse giudicare un disco simile al primo impatto probabilmente lo si valuterebbe come un lavoro discreto che si lascia ascoltare con piacere senza lasciare il segno ma, se gli si dedica il giusto tempo e l’attenzione che merita, si comprende che la band ha le idee ben chiare e, rimanendo in un limbo estremo, riesce a dire la sua in maniera prepotente con una delle uscite più interessanti di questi caldi mesi, trasportandoci ancora di più nelle viscere dell’inferno. Bollente.