A meno di un anno di distanza dalla pubblicazione dell’album di esordio “A Vampiir Is Born”, ecco uscire nuovamente dal loro sepolcro incrostato di umidità i lombardi Morcolac, con questa seconda fatica intitolata “Vrykolakas”, che fa riferimento ad una creatura leggendaria del folklore greco (il “brucolaco” appunto) che condivide alcuni aspetti caratteristici di figure appartenenti all’immaginario mitologico di varie regioni europee, come il trarre il proprio sostentamento dalla forza vitale degli esseri viventi (non necessariamente attraverso il consumo di sangue), specie neonati, bambini e donne in stato di gravidanza, ed altri invece tipici del più classico vampiro. Il disco prosegue in maniera assolutamente fedele il discorso musicale e concettuale del suo predecessore, di cui costituisce la continuazione sotto ogni aspetto, e francamente sarebbe stato difficile aspettarsi qualcosa di diverso, considerata l’impostazione stilistica del gruppo. I Morcolac ora sono un trio perché al tuttofare Sadomaster e al tastierista A.B., che condividono il loro sodalizio anche nei depressivi Griverion, si è aggiunto il batterista Bestia ma la sostanza musicale del progetto non è cambiata, restando saldamente ancorata ad un raw black metal a tema vampirico e di stampo tradizionale, inserendosi in un filone che negli ultimi anni sta avendo molto seguito nel sottobosco underground, caratterizzato da piglio lugubre e cimiteriale e da ampi squarci melodici, che sembrano ad ogni momento gridare “Finlandia amore mio”, strizzando l’occhio specialmente ai Satanic Warmaster e compagnia mannara.
Queste sono le coordinate dell’album e, se vi piace questo tipo di black metal, semplice ma efficace, lineare ma carico di atmosfere a metà tra il tragico e lo spettrale, e non privo di un’influenza a suo modo sinfonica, qui troverete sicuramente pane per i vostri denti marci. A partire dalla magniloquente e cinematografica intro “Entering The Sanguinarian Gates” e fino alla conclusiva, tormentata e malinconica “Farewell To Our Fallen Voivode”, è un susseguirsi di canzoni con le medesime caratteristiche che, pur non facendo gridare al miracolo, riescono a tenere alta la tensione e colpiscono nel segno grazie a melodie quasi sempre molto azzeccate, ad un andamento prevedibile ma in ogni caso coinvolgente, a strutture tradizionali ma ben concepite e, soprattutto, ad un buonissimo lavoro tastieristico. E proprio le tastiere sono uno degli elementi essenziali del sound della band, con le loro trame a volte più maestose a volte più dolenti ed il loro suono sempre in evidenza, molto simile a quello di un organo e quindi particolarmente adatto al contesto funereo e sanguinario dell’album. Per il momento la formula funziona ancora (in alcuni frangenti molto bene) e, ascoltando brani come “Draculean Misty Candlelight” o la title track o ancora “A Bite Sculpted On The Woodtrees”, non potrete esimervi dal muovere su e giù la vostra testolina capelluta, facendo le cornine e immaginando qualche sexy vampira al vostro fianco.
E comunque è evidente, pur nell’aderenza assoluta ai luoghi comuni del genere al quale il disco è devoto in tutto e per tutto, la cura riposta in ogni aspetto, soprattutto nella strutturazione del riffing e delle linee di synth che rendono i brani immediati e accattivanti. L’effetto stagnazione compositiva è quindi per il momento scongiurato, considerata la qualità complessivamente più che buona, ma rischia di essere dietro l’angolo per il futuro, vuoi per l’insistenza sui medesimi stilemi, vuoi per la distanza ravvicinata delle uscite, vuoi per la presenza di molti “concorrenti” (basti pensare agli Order Of Nosferat e alle decine di altri gruppi che trattano gli stessi temi, con variazioni stilistiche solo parziali), tutti decisamente iperattivi. Nella speranza che il filone non arrivi troppo presto alla saturazione, con inevitabile appiattimento verso il basso, vedremo come si muoverà questa creatura notturna, tra lapidi e vecchi castelli in rovina.