Pur nella loro appartenenza ad una dimensione totalmente e squisitamente underground, gli statunitensi (di Detroit, Michigan) Perversion sembrano essere piuttosto noti in patria, dove infiammano la scena estrema da quasi quindici anni, grazie ad una discografia piuttosto nutrita e ad una sempre intensa attività live. Il nostro simpatico power trio è dedito ad una forma assai brutale di black metal, che pesca a piene mani dal metal of death di scuola sudamericana (sarà probabilmente anche perché il chitarrista, cantante e principale compositore Fernando Conde è venezuelano), formando una mistura barbarica e feroce che la band propone con indiscutibile convinzione. Questo “Dies Irae”, seconda fatica sulla lunga distanza che esce (ovviamente) per la Hells Headbangers Records, davvero onnipresente e sempre prodiga di nefandezze sonore, arriva a ben nove anni di distanza dal precedente full length di debutto “Storm Of Evil”, di cui rappresenta la naturale evoluzione, non modificando le coordinate stilistiche da sempre nel dna del gruppo ma premendo il piede sull’acceleratore e aumentando ancora di più, se possibile, il tasso generale di violenza, anzi di viuuulenza.
Eh sì perché questo disco è veramente furibondo, caotico e ruvido come carta vetrata e investe l’ascoltatore come un fiume in piena subito dopo la breve intro, che altro non è se non uno stralcio del “Dies Irae” di Giuseppe Verdi, che funge da title track e crea la giusta atmosfera per la successiva colata di rabbia. Infatti a partire da “Bhagavad Genocide” e fino alla conclusiva cover dei Bathory è una mazzata dopo l’altra, senza soluzione di continuità, per la gioia dei vostri padiglioni auricolari che, statene pur certi, verranno stuprati a dovere per tutta la durata del disco. E se gruppi storici e seminali come Possessed, Sarcofago e i già citati Bathory o altri, più recenti, come Profanatica, Impiety e Grave Miasma, vengono chiamati in causa ripetutamente, bisogna riconoscere che i Perversion dimostrano di sapere decisamente il fatto loro e di essere in grado di interpretare il genere con la giusta dose di personalità, intanto affiancandolo in questo caso ad un concept “filosofico” incentrato sul Kali-Yuga e sull’età del ferro (non originale di per sé ma comunque diverso dalle consuete blasfemie assortite) e soprattutto svariando molto dal punto di vista musicale e mescolando influenze diverse tra loro.
Ed ecco allora squarci thrash di chiara derivazione tedesca che si alternano a massicce dosi di death metal di scuola floridiana, con un pizzico di grindcore a imbastardire e a rendere più acuminato il tutto, in pezzi piuttosto lunghi dai quali emerge un certo piglio epico e pure insospettabilmente “progressivo”. E se il cantato riposa sul tradizionale avvicendamento tra scream diabolici e ringhi growl ed altrettanto classici sono gli assoli fulminei che costellano i pezzi, una relativa sorpresa arriva dalla produzione, che non cede alla cacofonia fine a sé stessa come spesso accade in dischi di questo tipo ma si mantiene cupa, pesante e sufficientemente potente, senza cessare di essere grezza. Insomma non credo che ci sia molto altro da aggiungere, avete capito cosa vi aspetta una volta premuto il tasto play e se vi piace questa robaccia i Perversion meritano senz’altro una possibilità, considerando che sono tra gli interpreti più credibili di questo genere che ho avuto modo di ascoltare negli ultimi tempi. Quindi fidatevi.