In Cile, lo sappiamo bene, c’è una una scena raw black metal a dir poco prolifica e ce ne siamo occupati ampiamente sulle nostre pagine virtuali. Ma anche il filone black/thrash o, se preferite la sfumatura, blackened thrash metal è piuttosto fiorente, con una moltitudine di gruppi underground impegnati a ripercorrere i sentieri tracciati qualche decennio fa dai vari Sodom, Kreator, Destruction, Slayer, Sarcofago, Bathory e compagnia, con il probabile intento di bloccare le lancette dell’orologio e incrollabile attitudine d’altri tempi. È il caso dei Mayhemic, quartetto tutto sorrisi, borchie e giubbotti di pelle che, dopo una manciata fra demo, split ed ep, decide di raccogliere tutto il materiale edito finora, e reperibile solo nei ristrettissimi circuiti sotterranei, in questa uscita compilativa che ci offre la possibilità di scoprire una realtà altrimenti poco nota. I nostri amici, com’è facilmente intuibile fin dalle prime note dell’opener “Beyond Hell”, sono assolutamente devoti alla vecchia scuola e il loro intento sembra essere quello di tributare un sentito omaggio a quel periodo (diciamo soprattutto seconda metà degli anni ottanta) nel quale il metal estremo cominciava a uscire dai cimiteri e a farsi apprezzare anche da un pubblico (relativamente) più vasto che già aveva introiettato la NWOBHM e il thrash della Bay Area.
E sono proprio queste le coordinate stilistiche di questo lavoro, dall’inizio alla fine, senza particolari variazioni perché si viaggia tra episodi in tutto e per tutto thrash metal, di quello decisamente violento e affilato come la lama di un rasoio, depurato da qualsiasi tentazione melodica (ad esempio “Volcanic Blast”, a mio giudizio uno degli dei pezzi migliori del lotto; e quindi nel contesto ci sta a pennello la cover di “Dying Victims” dei già citati Kreator, tratta dal classico della band tedesca che risponde al nome di “Endless Pain”) ed altri invece dove queste sonorità vengono maggiormente tinte di nero, con il fantasma dei Venom, ma anche dei Possessed, ad aleggiare sulle note (ad esempio l’autocelebrativa “Mayhemic” o “Mortuary Feast Of Skeletons”).
E questo è quanto, non c’è molto altro da aggiungere in quanto i nostri amici non fanno molto di più che pagare pegno a gruppi che evidentemente rappresentano per loro un fondamentale punto di riferimento, celebrando un sound dal quale in sostanza è poi partita anche la successiva ondata black scandinava, e sembrano non volerne sapere di tentare di uscire di una dimensione puramente underground, nella quale riproporre questo tipo di approccio, a suo modo genuino e onesto ma completamente revivalistico, può avere ancora un senso. E può anche andar bene così, anche se molti (moltissimi) l’hanno già fatto prima di loro e continuano a farlo, forse anche meglio. Discreti artigiani dell’estremo, i Mayhemic ci propongono una quarantina di minuti di violenza in musica non troppo assortita. Se vi accontentate potreste anche godere.