Negli ultimi mesi abbiamo dato spazio sulle nostre pagine virtuali a quella che sembra essere una nuova ondata di gruppi che ripropongono sonorità di stampo psichedelico, talvolta mescolate con massicce influenze black/doom (è il caso ad esempio di “Diabolical Omen Of Hell” di Lord Mortvm), talaltra declinate con un piglio decisamente più occult rock (è il caso del “magik metal” di “…Of Pandemonium” dei The Gates), anche se credo sia improprio parlare di una vera e propria scena, un po’ come per il revival heavy classico degli ultimi tempi. Al filone in questione in ogni caso possono essere facilmente ricondotti anche gli italiani Black Spell, che con questo “Season Of The Damned” si dimostrano decisamente iperattivi giungendo alla terza fatica sulla lunga distanza (oltre ad un ep) in circa due anni di attività. Il trio formato da Pierre, Johan e Alastair Skull propone infatti una miscela di stoner/doom metal profondamente debitrice del rock psichedelico più lisergico, che ebbe il suo momento di massimo splendore a cavallo tra gli anni sessanta e gli anni settanta, con contorno di satanismo acido che, dal punto di vista lirico e concettuale, si sposa alla perfezione con questo genere di sonorità.
L’approccio vecchia scuola è evidente fin dalle prime note di organo che introducono l’opener “Satanic Majesty” (tra l’altro uno dei pezzi migliori del disco insieme alla conclusiva “Temple Of The Drugged Sorceries”, che si chiude anch’essa con note d’organo) e fa emergere richiami ai padri putativi Black Widow e Coven, tra i primi in assoluto a parlare esplicitamente di occultismo e stregoneria nei loro testi e a proporre un rock dall’impronta oscura e rituale, e pure agli Iron Butterfly, che credo possano essere anch’essi annoverati tra le fonti di ispirazione dei nostri tre “fratelli teschio”. Ma il riffing grasso e pastoso, psichedelico e drogato fino al midollo, e l’atmosfera dannatamente cimiteriale che aleggia su tutto l’album rendono in qualche modo omaggio anche ad un certo filone rock/metal occulto squisitamente italiano, che unisce con un ideale filo conduttore Paul Chain ai Goblin. Siamo di fronte ad un album decisamente monolitico in quanto tutte le canzoni, compresi un paio di strumentali, sono sostanzialmente costruite allo stesso modo e comunque si muovono lungo i medesimi sentieri stilistici, senza particolari variazioni. La chitarra è la protagonista assoluta di questa release (ben accompagnata da una sezione ritmica canonica ma che svolge discretamente il suo sporco lavoro) e si prende la scena dall’inizio alla fine, con un suono ossessivo che non concede tregua, dipanandosi tra ritmiche ed assoli senza apparente soluzione di continuità, trasportando l’ascoltatore nel bel mezzo del sabba nero condotto dalle vocals lisergiche di Alastair Skull, il cui cantato demoniaco, leggermente filtrato e mai troppo in primo piano, si insinua sottopelle come il celebre serpente tentatore.
Tutto ciò potrebbe rendere l’ascolto perfino pesante, almeno per le orecchie meno avvezze a questo genere di sonorità, ma credo che l’intento della band fosse proprio quello di creare un’atmosfera soffocante e mefistofelica, una sorta di bolla oppressiva, di “nero incantesimo” appunto, dal quale sembra impossibile uscire se non una volta terminato il rituale. A suo modo grezzo, appiccicoso, fangoso e mellifluo, “Season Of The Damned” è un ascolto sui generis certamente appetibile anche per i fans del metallo estremo e del metal più in generale. Probabilmente non rivoluzionerà nulla e resterà un lavoro di nicchia anche nel già ristretto circuito underground ma ha tutte le carte in tavola per trasformarsi nel classico disco di culto (letteralmente).