Ascoltando “Fragment: Totenruhe”, seguito del buon “Fragment: Erhabenheit”, la prima cosa che balza alle orecchie è la maniacalità delle composizioni e della produzione, di livello altissimo. Tutto suona alla perfezione, dagli arrangiamenti alle linee vocali, e qualsiasi sprazzo d’atmosfera è studiato al millesimo. Chiedersi se sia il miglior disco della band risulta quasi superfluo, essendo una domanda che ci si pone sempre a una nuova uscita, ma la certezza è che abbiamo tra le mani un lavoro di grande qualità e sicuro impatto emotivo ma non di facile ascolto, nonostante la band ricorra a tutti gli stilemi del più canonico blackened death metal di stampo melodico. Secondo Ragnar, singer del combo nonché responsabile di testi e arrangiamenti, il “frammento” indica metaforicamente una porzione di qualcosa più grande, determinate idee, spesso critiche e provocatorie, visioni o sentieri che ha iniziato a seguire, attraverso i quali ci propone la sua personalissima lettura della vita. Si fatica a definire la proposta della band come “underground” per l’elaborazione che in vari frangenti rasenta la perfezione, tuttavia, con furbizia questo nuovo platter segue stilisticamente le orme del predecessore, alternando sfuriate più consone al black metal a brani lenti e cadenzati, quasi strazianti nel loro incedere pachidermico.
Le differenze tra questi due capitoli di “Fragment” le troviamo soprattutto dal punto di vista lirico e tematico in quanto, se “Erhabenheit” si concentrava fondamentalmente sugli aspetti più canonici della vita, sull’elitarismo e sulla morale, “Totenruhe” risulta più focalizzato sul fine della vita stessa ed è una sorta di accusa nei confronti della società umana, nel senso che ognuno di noi è responsabile del cataclisma che ci fa sprofondare nell’abisso. Non un concept da seguire spensieratamente ma in cui addentrarsi con cautela e con la giusta colonna sonora, per un disco che difficilmente toglieremo dal piatto per molto tempo in quanto crea una sorta di dipendenza, nonostante minimi e perdonabili passi falsi. L’equilibrio regna sovrano durante i quarantacinque minuti dell’album, con una precisa alternanza tra brani tirati ed altri più riflessivi, tra cui spicca l’ipnotica e imponente “Towards The Chasm”, sicuramente l’episodio di più difficile assimilazione, che coinvolge lentamente per poi accelerare nel finale. Se l’inizio è molto energico, grazie a due pietre pregiate come “World, Burn for Us” e “Catastrophe In Flesh”, che risulta anche il pezzo più tirato, con “Demise Of The Gilded Age” rasentiamo il capolavoro compositivo del disco, un pezzo oscuro, che si snoda per oltre quattro minuti tra sinistre melodie e stacchi letali. Manco a dirlo, il lavoro del drummer Flo Musil è al limite del mostruoso, con alternanza di blast beat incessanti e fill pregiati dal quoziente tecnico elevato.
Il disco prosegue con brani soddisfacenti ma anche altalenanti, con l’accademica “After Thousand Of Years” che non brilla particolarmente, così come “…Of Rapture And Dissolution”, discreto esempio di brano complesso nelle sue varie sfaccettature ma che rischia di annoiare nel suo trascinarsi. La chiusura è affidata alla maestosa title track e a una cover di “Frontschwein” dei Marduk, ottimamente suonata e ben contestualizzata. Ascolto dopo ascolto “Fragment: Totenruhe” prende possesso di noi pure nei suoi momenti meno ispirati, anche se ogni tanto si perde sulla propria strada, limitandosi a ferire la preda senza ucciderla. La band ha le palle e non lo dimostra sicuramente oggi, noi rimaniamo in attesa del terzo capitolo di questi macabri frammenti, che dovrebbe portarci ulteriormente nell’abisso della psiche umana, ossia la bestia nascosta sotto la superfice della nostra pelle. Filosofi.