È ovvio che un gruppo che si chiama Tyrannosatan andrebbe ascoltato a prescindere, solo per il nome che porta. Se poi andiamo a dare un’occhiata alle foto promozionali che, tra enormi croci rovesciate, ali di pipistrello altrettanto enormi e un bel teschio di tirannosauro (immagino autentico) a dominare il palco, sono il trionfo dell’arroganza più ignorante e coatta, direi che un ascolto diventa pressoché obbligatorio. I nostri amici, che uniscono la paleontologia al satanasso, sono un power trio svedese formatosi nel 2016, che ha dato alle stampe la prima demo (“Triumvirat”) l’anno successivo e che solo oggi esordisce sulla lunga distanza con questo full length di debutto, fuori in formato vinile e cassetta per la connazionale Jawbreaker Records, con la particolarità che i due lati della release sono denominati rispettivamente “side tyranno” e “side satan”, per cui il livello di simpatia non può che aumentare. Cosa suonano i Tyrannosatan? Semplice, una mistura di non immediata collocazione, stradaiola e caciarona, di black e thrash metal, con amplissime influenze heavy/speed e pure, se vogliamo, una spruzzatina di death metal della primissima ora, un qualcosa che potremmo chiamare “tyranno-metal”, nella speranza che la definizione possa un giorno diventare famosa.
In realtà vanno a pescare a piene mani dal gran calderone del metal estremo che, tra la seconda metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, ribolliva di realtà feconde che esploravano nuovi sentieri, prima che arrivassero le etichette dei vari sottogeneri a porre barriere e confini (naturalmente più nei piccoli cervelli dei fans che nelle mani, nei piedi e nelle ugole dei musicisti).
Al tempo stesso si accodano ad una specifica tradizione tutta borchie e sorrisi, che in Svezia è una vera e propria scuola e che fa capo a gruppi come Bewitched, Satanic Slaughter e Gehennah, contando tra le proprie fila innumerevoli esponenti, anche in tempi più recenti, come ad esempio Stormdeath e Witchery. Insomma, quella robaccia lì. Una robaccia che però i Tyrannosatan sanno suonare bene, unendo con cognizione di causa melodie di stampo classicamente heavy con tutta la sporcizia e la cacofonia derivanti dalle contaminazioni più estreme presenti nella loro musica e che ritroviamo tanto nella produzione assai grezza e nel cantato sgraziato quanto nell’attitudine generale del lavoro, quasi punk, come poteva essere punk uno dei primi dischi dei Venom. E lo si capisce subito, fin dall’opener “Tyrannens Uppenbarelse”, che mette immediatamente in chiaro quelle che saranno le coordinate stilistiche dell’album, tra ritmiche muscolari e un riffing non privo di un certo groove, per quanto basico e selvaggio.
Si potrebbe dire che anche i Tyrannosatan rientrino in quella pletora di gruppi che negli ultimi anni stanno proponendo, con alterne fortune e alterna qualità, quello che a tutti gli effetti è una sorta di revival della vecchia NWOBHM, più o meno vitaminizzato con un tocco più estremo, senza però attribuire a questa affermazione una sfumatura necessariamente negativa perché la band, come del resto molte altre riconducibili a questo filone, suona ciò che vuole suonare con una genuinità che letteralmente trasuda da ogni nota e che ce la fa apprezzare proprio per questa onestà d’intenti, chiudendo magari l’occhio, anzi l’orecchio, sulle lievi ingenuità compositive percepibili qua e là durante l’ascolto.
Il disco scorre via veloce (la breve durata è un punto a suo favore, considerato il genere proposto) ed è un concentrato di maleducazione metallica, fino all’autocelebrazione conclusiva di “Tyrannosatan” che, con il suo fulmineo coretto, rappresenta un po’ la summa dell’album e più in generale dell’approccio delle band, che rende discretamente su disco ma potrebbe risultare ancora più coinvolgente in sede live. “Katakombernas Kakofoni” è il classico disco che, se fosse uscito nel 1989, oggi sarebbe di culto ma che di culto potrebbe comunque diventarlo in futuro, nel bene e nel male e qualsiasi cosa voglia dire di preciso.