Nel panorama black violenza e ostilità sono ormai diventati un clichè ma, per nostra fortuna, ci pensano i Misþyrming a dimostrare cosa significa mettere in musica niente di meno che il demonio. Ci troviamo tra le mani “Með Hamri”, il terzo album del quartetto islandese, nonchè un autentico baluardo contro falsità ed esibizionismo che sembrano spesso impestare l’underground. Per assolvere a questo compito i Misþyrming hanno dato vita a una creatura in cui coesistono mondi sonori talvolta distanti tra loro. Proprio come ghiaccio e lava coesistono nella loro terra natìa, in questo album assistiamo alla fusione geniale tra black metal, musica cinematografica ed elementi prettamente marziali. Il disco si apre con una carica distruttiva che da l’impressione di trovarsi nel pieno della devastazione, una sensazione che ci prepara alla marzialità, a tratti spiccatamente viking, della seconda traccia. “Með Harmi” è infatti un connubio tra oscurità ed epicità, una spiccata dimostrazione del talento compositivo della band che, in maniera estremamente naturale, riesce a trasportarci in due luoghi nello stesso momento: da un lato, in piena tempesta, sferzati dalle violente acque del nord e, dall’altro, nascosti in un bunker a sentire l’eco delle avanzate belliche. Ed è proprio dalle macerie di queste che emerge la violenza spietata di “Engin Miskunn”, un’abile unione di dissonanze e drumming instancabile, nonché un perfetto preludio alla belligeranza arcaica della successiva “Engin Vorkunn”.
E, a partire da quest’ultima traccia, iniziamo a sentire il germe di un’orchestrazione cinematografica che darà nuove atmosfere alla seconda metà dell’album. “Blóðhefnd” ne è proprio il culmine, l’incipit suggerisce visioni, evoca immagini, e nessuna di queste è rassicurante. Il male assoluto permea tutta la prima parte di questo distillato di odio, la sensazione è quella di assistere all’ascesa di un potere spietato e totalitario. Ma il risultante nodo allo stomaco viene presto smorzato da un corale completamente inaspettato, che sembra rivelarci che ciò che abbiamo sentito finora, in realtà, non era altro che la furia delirante che precede il declino. E, come in un puzzle in cui i pezzi combaciano alla perfezione, è proprio il delirio la chiave dell’ultima traccia. “Aftaka” entra in punta di piedi, con un tappeto di cacofonie e rarefazione.
L’atmosfera è tetra e sprezzante, la chitarra è aspra al punto da risultare acida, eppure questo non è nulla in confronto allo sviluppo successivo. Dall’ingresso della voce ci troviamo infatti al centro di una mattanza e prevale un’unica sensazione: l’avere la pelle macchiata di sangue. Sarebbe stato facile, forse scontato, finire quest’ultimo brano con la stessa desaturazione dei precedenti e, come è ovvio che sia, il quartetto decide di intraprendere la strada opposta. Assistiamo così a un incremento violento e ossessivo di tutta la rabbia ascoltata finora che, proprio al suo culmine, dà spazio al silenzio con un’immediatezza tale da risultare scioccante. Si chiude così questo capolavoro di circa quarantacinque minuti, un album che chiede a gran voce di essere riascoltato e che segna un traguardo importante per la band. “Með Hamri” non è nulla di meno che la dimostrazione che il black metal ha ancora molto da dire e, a giudicare da questo viaggio sonoro, i Misþyrming ne sono i degni portavoce.