I Manticore appartengono a quell’infinita lista di gruppi che forse hanno raccolto meno di quanto seminato. Statunitensi (vengono dall’Ohio), saldamente ancorati all’underground estremo sotto ogni aspetto, sono comunque attivi da oltre vent’anni (con tre albums e la consueta trafila di uscite minori alle spalle) ma non sono mai riusciti ad emergere in maniera significativa, restando relegati in una dimensione “di culto” che probabilmente è quella che appartiene alla band e che meglio la definisce. Il nucleo centrale del gruppo è formato dal bassista e cantante Ixitichitl e dal batterista Maggot Wrangler e la loro proposta musicale ruota attorno ad un black/death metal vecchia scuola, fondamentalmente rozzo e cattivo ma suonato con cognizione di causa e con tutti quegli accorgimenti compositivi che possono rendere sonorità come queste ancora interessanti, nonostante l’indubbia inflazione che persiste ormai da anni. I nostri amici non si smentiscono neanche in questa loro nuova fatica, la quarta sulla lunga distanza, in quanto “Endless Scourge Of Torment” non fa che ribadire lo status stilistico della band, che si muove con disinvoltura tra Beherit, Possessed, Profanatica e suggestioni alla Nunslaughter, senza mai risparmiare violenza e barbara ferocia.
Sembrerebbe trattarsi del classico disco che non riserva particolari sorprese ed in effetti è così, se non fosse che la band, grazie anche all’indubbia esperienza maturata nel corso degli anni, riesce ad amalgamare bene i consueti ingredienti offrendoci una cena completa e soddisfacente, composta da portate che tutti conosciamo ma che non per questo smetteremo di gustare, compresa la più tradizionale delle produzioni, polverosa e grezza come si conviene.
E così, dopo la breve intro “The Fields Of Torment” dal sapore vagamente darkeggiante, ecco irrompere l’opener “Thy Seed Through The Fire”, vera e propria bastonata in mezzo agli occhi, che nei suoi tre minuti o poco meno di durata ci fa immediatamente capire di che pasta sono fatti i Manticore. Pezzi di questo tipo, come “Empty Eyes, Hollow Temples”, “Halo Of Vermin” e “Defiled By Supremacy”, veloci e letali stilettate, costellano tutto l’album e si concentrano soprattutto nella parte centrale dello stesso, cuore pulsante che pompa aggressività in ogni nota, tra chitarre furiose, batteria terremotante e urla belluine.
Ma i Manticore dimostrano di sapere il fatto loro anche quando è il caso di staccare il piede dall’acceleratore e costruire brani più cadenzati che prediligono atmosfere sulfuree e demoniache, dove sono il groove e la pesantezza esecutiva a farla da padroni, come accade ad esempio in “In Dark We Are Enslaved” o nella conclusiva “Abrahamic Obliteration”, la canzone più lunga e più lenta del lotto. In questo contesto piuttosto vario ha il suo senso anche la cover di “Captain Howdy”, classico dei Twisted Sister e uno dei pezzi più oscuri di quel capolavoro di hard rock che risponde al nome di “Stay Hungry”, qui estremizzata a dovere ma resa in fondo in maniera abbastanza fedele all’originale.
I Manticore confermano di essere degli affidabili artigiani dell’underground e in quest’occasione riescono a fare qualcosa in più che compilare il solito compitino. La loro dimensione è questa ma sono bravi e questo disco vale sicuramente qualche ascolto.