Obscurum Malum rappresenta una realtà peculiare, che vive nello strato più profondo del sottobosco underground nostrano. Partito dalle sonorità raw black metal della demo d’esordio “Crypta Vox” del 2005, nel corso degli anni il progetto si è spostato sempre più verso lidi folk, mantenendo una produzione assolutamente scarna ed essenziale (con tutto ciò che ne consegue, in positivo e in negativo) e reinterpretando questo discorso musicale alla luce di un concept abbastanza personale, che fa riferimento ad aspetti storici e culturali ma anche a leggende dell’Irpinia, zona di provenienza del factotum Marco Maniero, che cura in sostanza ogni aspetto della sua creatura musicale. Non fa eccezione questo “Phantasma”, seconda fatica sulla lunga distanza, incentrato sulla janara, figura di strega che popola i racconti della tradizione agreste e contadina del sud Italia, specie dell’area di Benevento, qui analizzata da un punto di vista antropologico e inserita in un contesto narrativo particolarmente ricco. A questo substrato concettuale, peraltro ulteriormente incorniciato da un racconto a tema che accompagna il disco (e che sarebbe opportuno leggere, magari durante l’ascolto), fa da contraltare una ricerca musicale interessante, che sembra quasi prescindere dai consueti elementi che siamo abituati a ritrovare in un disco del genere (a mio giudizio qui di black metal, almeno per come lo intendiamo nella comune accezione del termine, ce n’è davvero pochissimo), per approdare ad una forma quasi improvvisata di canto rituale che rievoca vecchie tradizioni popolari. A ciò si aggiungono, da un lato, l’uso di strumenti particolari, come un set di ciocchi di legno, sonagli, mandolino e shaman drum e, dall’altro, l’utilizzo esclusivo del dialetto locale nelle liriche: elementi che non fanno che aumentare il piglio radicalmente folk di questa release, contornandola di un fascino arcano ma rendendola al tempo stesso ancora più criptica e di non immediata fruizione.
C’è quindi un impianto piuttosto originale, se vogliamo usare questa definizione, che tuttavia non libera questo disco da quei limiti strutturali che, a mio sommesso parere, il progetto Obscurum Malum si porta dietro fin dai suoi esordi, ovvero una certa ossessione per un approccio sperimentale impregnato di intellettualismo che prescinde quasi completamente dalla forma canzone, rendendo il tutto un po’ vago, sovraccarico sotto il profilo concettuale e musicalmente poco appetibile; e l’insistenza (certamente voluta e programmatica) su una produzione eccessivamente artigianale, che vorrebbe tendere a esaltare la natura underground della musica ma finisce inevitabilmente per comprometterne la resa finale, rendendo il tutto troppo confuso, a discapito di molte sfumature che restano nelle intenzioni anziché colpire come avrebbero dovuto l’orecchio dell’ascoltatore (anche perché, come detto, non stiamo parlando di raw black metal). E anche il cantato approssimativo, con il suo andamento da stonata cantilena funebre, seppur calato in maniera coerente nel contesto generale, alla lunga potrebbe risultare fin troppo sopra le righe. In fin dei conti sembra di ascoltare un qualcosa di molto simile ai vecchi lavori degli Abruptum, soltanto declinato in salsa folk, senza che a questo accostamento debba necessariamente attribuirsi un significato negativo: ci sarà chi vorrà considerare tutto questo grosso modo alla stregua di “rumori a casaccio”, che lasciano sostanzialmente il tempo che trovano, e chi invece si sforzerà di seguirne il filo conduttore, sebbene sfuggente in un quadro generale decisamente ostico, finendo per lasciarsi trasportare emotivamente e per apprezzare magari quegli stessi aspetti che potrebbero rappresentare un ostacolo all’ascolto ma che in ogni caso costituiscono, nel bene e nel male, l’essenza sonora di questo progetto.
Per quanto mi riguarda mi pongo salomonicamente nel mezzo e dico che, ad esempio, la title track è piuttosto efficace, sospesa com’è tra il sogno e l’incubo, così come la conclusiva “Morte”, dove fa la sua comparsa anche una voce femminile che declama litanie in dialetto sardo e che pone fine al disco lasciandoci un senso di macabra suggestione. Francamente non è per niente semplice esprimere un giudizio su un lavoro come questo senza rischiare di cadere nella mera opinione soggettiva, per cui vi consiglio comunque di ascoltarlo, nel giusto stato d’animo, e di trarre da voi le vostre conclusioni, perché mai come in questo caso la valutazione, specie quella numerica, è del tutto indicativa.