Cosa può accadere se due tra i personaggi attualmente più attivi nel sottobosco underground black metal centro-sudamericano uniscono le loro forze per dare vita ad un nuovo, oscurissimo, ennesimo progetto? I Grymmstalt infatti sono un duo, che esordisce sulla lunga distanza con questo “Anthems Of Mournful Despondency”, sotto l’egida dell’etichetta portoghese Signal Rex, onnipresente quando si tratta di raw black metal, formato dall’ecuadoriano Wampyric Strigoi (Wampyric Rites, Dungeon Steel, Aurae Lunae ed altri) e dal cileno Lord Valtgryftåke (Ründgard, Pyreficativm, Gryftigæn, 13th Temple, MánÞiel ed altri), nostre ormai vecchie conoscenze e insieme anche nei Winterstorm, di cui abbiamo recensito su queste pagine virtuali l’album di debutto “Vinterstormener”. Qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi, ed io sono tra questi, quale sia l’utilità di mettere in piedi decine di progetti, quasi sempre one man band, che propongono in sostanza la stessa musica, al massimo con minime variazioni stilistiche. Diciamo che è così in quasi tutte le più prolifiche scene underground (Finlandia e Portogallo in testa) perché fa curriculum e aumenta l’alone di “culto”, anche se non sempre alla quantità corrisponde altrettanta qualità, anzi in molti casi è vero l’esatto contrario. Accettando questo fenomeno inspiegabile e al netto del mistero legato all’utilizzo del tedesco per una band di tutt’altra provenienza geografica (capirei l’inglese ma tant’è), bisogna dire in tutta onestà che il progetto Grymmstalt ha in effetti un suo motivo di esistere perché si discosta, almeno parzialmente, da quanto fatto dai nostri due amici nelle altre realtà in cui sono coinvolti, prendendo le distanze dall’accademica violenza medievale, a volte efficace e a volte meno, di quei progetti.
Spiega Lord Valtgryftåke: “Empiricamente parlando, ciascuno dei manifesti di questo album ricrea passo dopo passo gli stati in cui è possibile sperimentare l’essere. È possibile usare il dolore come veicolo di iniziazione a un parametro totalmente diverso, ben oltre il velo della miseria terrena, ben oltre il semplice fatto di assorbire il dolore e incanalare queste sensazioni lancinanti in una costruzione superiore dell’intelletto verso vari parametri interni del Tempio. Così, questi brani musicali corrisponderebbero intrinsecamente a una nigredo spirituale”. Tutto chiaro, no? C’è un riferimento alla nigredo alchemica, al primo passaggio nella realizzazione della pietra filosofale che corrisponde alla decomposizione e alla putrefazione, con tutti i significati anche psicologici che si possono ricollegare a questo concetto, che resta comunque vago perché ovviamente non è dato leggere i testi (altrimenti si perderebbe l’aura elitaria, è ovvio). Quello che più mi interessa, e che giustifica la valutazione numerica finale, è però la musica, che è davvero ben concepita, pur restando fedele ai noti parametri del black metal più autarchico e indecifrabile, produzione casereccia e approssimativa in primis, con suoni classici che di più non si può, soffocati e riverberati come se provenissero dallo stereo del vicino, coperto da un pesante asciugamano. L’atmosfera macabra e cimiteriale è quindi l’elemento caratteristico di questo disco, che conserva per tutta la sua durata un piglio lento e cadenzato, sfiorando territori vicini al depressive senza mai lasciarsi andare a velocità più sostenute. Uno-due riff per canzone, estremamente essenziali e lineari, ed uno screaming lontano e spettrale tendono a creare una sorta di trance ipnotica nell’ascoltatore, portato a farsi cullare da queste nenie monotone, inframmezzate da sprazzi arpeggiati che in molti casi riprendono la melodia principale di fondo.
Queste caratteristiche si ritrovano in tutto l’album e sono esaltate soprattutto in “Nachgiebigkeit”, a mio giudizio l’episodio più rappresentativo del lotto. Sono evidenti i rimandi a un disco seminale come “Filosofem” e, forse in misura ancora maggiore, a gruppi come primi Forgotten Woods, I Shalt Become, Wigrid e simili, che già avevano estremizzato verso lidi sempre più funerei determinati elementi presenti in quel lavoro. Crudo e inquietante, “Anthems Of Mournful Despondency” tenta di spalancare abissi di disperazione, muovendosi lento, sempre uguale a sé stesso e mantenendosi fedele alla propria impostazione iniziale senza fronzoli. Un approccio che potrebbe risultare ostico per alcuni ma che personalmente ho trovato emotivamente coinvolgente. Pur con tutti i limiti che ho cercato di evidenziare e senza far gridare al miracolo, forse è uno dei pochi lavori della recente “new wave” raw black metal che ho avuto occasione di ascoltare ad elevarsi decisamente al di sopra di un’onesta sufficienza, proponendo musica convincente al di là della mera attitudine.