La tedesca MDD Records è una label che sicuramente va tenuta in considerazione non solo per la discreta mole di uscite ma soprattutto perché molto spesso ci regala lavori interessanti. È il caso di “Pyrogenesis” ultimo disco degli Asphagor, quintetto tirolese (austriaco) attivo dal 2007 e con alle spalle già tre fatiche sulla lunga distanza. Personalmente non conoscevo la band ma questo album, che viene pubblicato dopo ben cinque anni di inattività (il precedente “The Cleansing” risale infatti al 2018), è un buon biglietto da visita per approcciarsi a questa realtà. Un album sostanzioso, composto di undici tracce per oltre un’ora di ascolto, il che denota una certa audacia e probabilmente la necessità di dare sfogo ad una creatività inespressa per qualche tempo. Piacevole l’inizio strumentale della prima traccia, ottima scelta per iniziare questo lungo viaggio, ma già da queste prime note si inizia a percepire che ci troviamo di fronte a qualcosa di ben strutturato. Classiche sonorità black metal di matrice nordica (ma non solo), con una buona dose di melodie, il tutto registrato in maniera ottimale ma comunque confacente rispetto al genere proposto.
Le successive tracce si susseguono in maniera efficace, senza clamorose cadute di tono, e ci portano verso il cuore di quest’album, senza proporre niente di particolarmente originale ma forse è proprio la classicità la forza di questo album. I minuti scorrono senza annoiare e col passare delle tracce emergono una batteria di ottima qualità, che la fa da padrona, ed una linea vocale solida e molto piacevole, cosa da non sottovalutare.
Arriviamo quindi a “Pyrogenesis”, traccia che dà appunto il nome all’album, forse e stranamente non il pezzo più interessante di tutto il full lenght, ma sicuramente il cuore pulsante del lavoro perché in ogni caso qui si riescono a percepire tutta la tecnica dei musicisti e la loro indubbia esperienza. Chiudono l’album le ultime quattro tracce, anch’esse classiche, massicce e ben strutturate. Notevole in particolare la chiusura affidata a “Ghost of Aphelion”, pezzo brutale ed incalzante e forse il più riuscito dell’intero album.
In conclusione siamo di fronte ad un album che certamente non sconvolgerà la scena ma che si presenta solido, non noioso nonostante la lunghezza, e riesce ad offrire una certa varietà di soluzioni pur seguendo costantemente le consuete linee guida. Un disco che merita un ascolto anche per la notevole qualità di registrazione, con l’ottimo master di Victor Bullok (Dark Fortress). Artwork di gusto ma forse poco adatto all’album.