Probabilmente i più attenti cultori dell’underground estremo scandinavo si ricorderanno degli Unpure. La band capitanata dal bassista e cantante Kolgrim è proprio la classica realtà che ha tutte le carte in regola per essere definita “di culto”. Formatasi nel fatidico 1991, ha prodotto un trittico di demo per poi esordire sulla lunga distanza con l’omonimo debutto del 1995 e centellinare senza fretta varie uscite di discreta qualità per circa un decennio; il tutto all’insegna di un black metal ruvido, poco “svedese” e decisamente ancorato più alla prima che alla seconda ondata, che ha ben presto finito per inglobare massicce influenze black/thrash e speed, molto evidenti nel secondo album, “Coldland”, del 1996, pur mantenendo un piglio oscuro e sulfureo. A ben diciannove anni dall’ultimo lavoro in studio (credo sia una specie di record), vede la luce questo nuovo “Prophecies Ablaze”, grazie ad una collaborazione tra Invictus Productions e The Ajna Offensive, quinta fatica sulla lunga distanza, che si presenta con una copertina non eccelsa e non fa che ribadire l’approccio primitivo di questa creatura, come se il tempo non fosse passato, posizionando definitivamente la band nella categoria degli artigiani di lusso, in grado di produrre buona musica, a tratti decisamente apprezzabile, ma senza quel guizzo che possa elevarla in maniera netta al di sopra della media.
Infatti, sebbene la line up abbia subito grandi cambiamenti con l’ingresso di due nuovi chitarristi (Pelle Forsberg dei Watain e Hampus Eriksson dei Degial, in realtà entrambi in formazione fin dal 2011 ma qui per la prima volta su disco) e del batterista Emil Svensson (anche lui dei Degial), le coordinate stilistiche e il sound della band non sono cambiati in maniera sostanziale, a parte forse una leggera maggior cura nella produzione, che comunque si mantiene sporca e ruvida come si conviene ad un’uscita di questo tipo.
“Prophecies Ablaze” quindi non tradirà le attese di quanti attendevano una nuova prova degli Unpure e soddisferà le loro aspettative grazie ad una manciata di canzoni che non fanno gridare al miracolo ma che sono ben strutturate, dinamiche, intense, bilanciate con mestiere tra la cruda cattiveria del black e un pizzico di melodia più heavy-oriented, con cambi di tempo canonici ma funzionali, in un quadro generale che lascia emergere tutta l’esperienza dei musicisti coinvolti nel progetto, i quali certamente sanno bene come si suona questo genere e vanno dritti al punto, senza perdersi in troppi fronzoli o appesantire il disco con eccessive sovrastrutture concettuali. Anzi, ascoltando episodi come la granitica e muscolare “Northern Sea Madness” o la più cadenzata e oscura “The Witch Of Upsala”, o ancora le bathoryane e più dirette “Small Crooked Bones” e “His Wrath And The Red Soil”, si percepiscono un’energia e una rabbia “giovanili” tali da far invidia a molti nuovi virgulti impegnati in alcuni casi più a pitturarsi la faccia che a proporre musica che sia quanto meno decente.
In definitiva “Prophecies Ablaze” probabilmente non passerà alla storia ma è complessivamente un buon disco, sempre se collocato nella sua giusta dimensione, e la band si ripresenta in uno stato di forma accettabile, conservando il proprio marchio di fabbrica e i tratti distintivi del proprio sound. Però non dovete aspettarvi niente di più e niente di diverso di quanto gli Unpure non ci abbiano già fatto ascoltare in passato.