Già attivo in una miriade di band, quasi tutte dedite al black metal o alle sue prossime declinazioni, Roanoke, il misterioso quanto prolifico polistrumentista statunitense, ma nativo di origine, è il solo responsabile del monicker Geist Of Ouachita. Il nome Roanoke è legato alla famosa “colonia perduta” del 1590, mentre Ouachita è il nome di un fiume e di una catena montuosa tra l’Arkansas e la Louisiana. Non è più ormai una rarità l’associazione tra nativi americani e black metal e del resto le culture pre-cristiane a cui il nostro genere preferito fa spesso riferimento sono molto simili a quelle dei nativi americani, con la differenza che gli eredi di quelle popolazioni nordiche adesso vivono nell’agio di un welfare quasi idilliaco, mentre i discendenti degli una volta denominati indiani sono per lo più condannati ad un’esistenza squallida e senza prospettive, per quelli che decidono di rimanere nelle riserve, o da eterno emarginato e mai assimilato per chi prova ad integrarsi nella società americana.
Tralasciando gli appunti di storia e sociologia e tornando alla musica, i Gest Of Ouachita propongono un black metal assolutamente classico, nel senso “anni novanta” del termine, con il consueto tappeto di chitarre tremolanti e dissonanti che va a braccetto con una batteria sempre sparata a tutta velocità, con qualche sporadica apertura in mid tempo, spesso duplicata da un basso dal suono abbastanza pulito. Le urla sono strazianti, laceranti e incomprensibili mentre di tanto in tanto fanno capolino dei synth, giusto per aggiungere al quadro generale quell’appellativo di dungeon che in questo periodo va di “moda”. Starete pensando che di dischi come questo ne escono cinquanta all’anno e che nella vostra vita ne avrete sentiti probabilmente un centinaio, per non dire un migliaio.
E quindi perché, noi poveri adepti del metallo nero, dovremmo infliggerci nuovamente questo tormento sonoro? Beh, se ne abbiamo sentiti un migliaio nella nostra vita è perché quello che per le persone normali è solo un terrificante rumore inascoltabile, per noi è poesia che sussurra a quella parte oscura della nostra anima. E questo “Imprisoned In the Graven Wood” ci piace perché ha tutto quello che il black metal nel senso più stretto del termine ha da offrire: melodie ancestrali, grida demoniache, atmosfera raggelante, spasmodica violenza, odio viscerale e nessuna apertura a qualsivoglia sperimentazione o accessibilità. La produzione assolutamente e volutamente low-fi incornicia alla perfezione il tutto, così come il criptico contorno estetico. “Lust Of Ichor” è di sicuro la hit dell’album, con le sue riuscite melodie malinconiche, assieme alla title track che si chiude con un inquietante motivo di tastiera dal suono distorto.