La lituana Inferna Profundus Records, con il suo vasto catalogo, rappresenta ormai un punto fermo in ambito raw black metal. I lavori che recano il marchio di questa etichetta sono per lo più solo discreti ma comunque sempre intrisi di quel catacombale putridume che fa battere forte i nostri cuoricini neri. Talvolta però capita di imbattersi in dischi davvero interessanti e, come si suol dire, sopra la media. È il caso di questo omonimo debutto di Fellmoon, one man band norvegese dietro la quale si cela il mastermind Úlfr e della quale, come di consueto, non sappiamo altro, che sorprende per la freschezza emotiva e per la capacità di mescolare elementi ben noti in un amalgama piuttosto convincente che il nostro amico chiama black metal “cosmosinfonico”, anche se di sinfonico qui c’è ben poco, almeno per come siamo abituati ad intendere questo aggettivo abbinato al nostro genere preferito. Quattro canzoni di circa dieci minuti di durata ciascuna, quattro inni alla sinistra magnificenza della notte (non a caso i titoli sono la semplice rappresentazione grafica delle fasi lunari), che gravitano attorno a un nucleo di black metal grezzissimo con insistite intrusioni di pianoforte, al tempo stesso oscure e poetiche, e intermezzi dal sapore dungeon synth, come di regola molto lineari ma dannatamente efficaci nel contesto.
Per lanciare i propri incantesimi Fellmoon non lesina violenza e abbondano le consuete cascate di tremolo, ripetitive ed ossessionanti, rese ancora più criptiche e gracchianti da una produzione che fa dell’artigianalità da cantina il suo orgoglioso vessillo esaltando l’effetto centrifuga della lavatrice, che è assicurato. Ma la vera anima dei brani è costituita dalle decadenti note di pianoforte, anch’esse minimali e ipnotiche ma ben udibili, che rappresentano la funerea melodia portante di ogni brano e il vero punto focale del lavoro, insieme ai tappeti di tastiere che riempiono in sottofondo il muro sonoro creato dalle chitarre. E da questo contrasto di elementi sovrapposti nasce il fascino di un disco che sembra porsi a metà strada tra “Nattens Madrigal” degli Ulver e i primi Isengard, magari con una spruzzatina di Darkspace e Cosmic Burial. Accostamenti altisonanti, me ne rendo conto, ma che a mio giudizio ci possono stare, quanto meno a livello di atmosfere evocate; ascoltare per credere. E mentre la batteria abbastanza sorprendentemente è piuttosto in primo piano nel mix finale, cosa che consente di apprezzare i pochi ma buoni cambi di tempo tra blast beats e parti più cadenzate, la voce è invece uno screaming rabbioso e informe, tanto che francamente non sono riuscito a capire se ci siano delle vere e proprie liriche o se si tratti semplicemente di urla demoniache ma in fondo poco importa perché le parti strumentali sono assolutamente preponderanti. Insomma quella magia dei bei tempi andati, quando tutto appariva così indecifrabile e misterioso e c’era ancora ampio spazio per esprimersi in territori inesplorati, qui appare incredibilmente intatta e l’effetto fotocopia sbiadita che spesso affligge dischi di questo tipo è scongiurato grazie a quella cosa che in pochi hanno e che si chiama personalità compositiva. In conclusione “Fellmoon” è un album da provare, a patto che le vostre orecchie non siano troppo sensibili alle sonorità ultra ruvide che caratterizzano lavori così concepiti.