“Stregoneria” segna il ritorno di un nome storico della scena black metal italiana, i Death Dies, la cui fondazione risale al 1995 e il primo full-length, “The Sound Of Demons”, al 2002. I due membri fondatori, Demian De Saba (batteria) e Samael Von Martin (voce e chitarra, anche fondatore degli altrettanto seminali Evol), tengono botta e a otto anni di distanza da “Legione”, si fanno forza di una line-up rinnovata e di una discreta schiera di guest stars, come Andy “Bull” Panigada dei Bulldozer e Yasuyuki Suzuki, cantante di quei pazzi giapponesi degli Abigail. I Death Dies erano partiti da un black metal dalle tinte sinfoniche e gotiche, con tanto di voce femminile, per poi correggere il tiro con dischi molto più grezzi e tirati, come “PseudoChristos”, che però a metà degli anni duemila sembravano già fuori tempo massimo e che furono quindi ignorati dai più. “Stregoneria” va a rimestare nel calderone del metal estremo, pescando tanto dal proto black metal di fine anni ottanta, quanto da un heavy metal di stampo classico, passando per lidi più atmosferici e sulfurei, richiami dei primi lavori di inizio millennio, fino ad arrivare a riferimenti più attuali, soprattutto per una produzione forse eccessivamente ripulita, che finisce per smorzare spesso partiture chitarristiche già di per sé non particolarmente ricercate.
Il songwriting è abbastanza altalenante, con canzoni che sembrano in qualche modo essere state troncate all’improvviso come le veloci “Argento”, “Lame” e “Falce E Corona”, ed altre più cadenzate e decisamente meglio riuscite come “Riflessi Di Sogni Meschini”, “Impero” e “Vento D’Erebo”, anche se forse il migliore numero del lotto è l’ultimo, “Sorrow Of The Witch”, che col suo incedere doom e con delle efficaci linee vocali, prima modulate e poi urlate liberamente, finalmente riesce a ricreare quell’atmosfera di “stregoneria” che il titolo prometteva.
Ne deriva un album di sicuro interessante, stratificato e molto studiato, anche in virtù dei testi in lingua italiana, ma che fatica a convincere pienamente e a coinvolgere l’ascoltatore; sarà anche per un’eccessiva legnosità di alcune strutture che sfociano in una certa artificiosità, lontana dai primi lavori della band, di sicuro tecnicamente più poveri eppure traboccanti di passione e attitudine.
“Stregoneria” si configura quindi come un lavoro più che discreto, destinato probabilmente ad un pubblico maturo, cresciuto con i primi album della band e quindi alla ricerca di sonorità meno oltranziste e più ragionate; per tutti gli alti invece potrebbe rischiare di essere solo una noiosa perdita di tempo.