Grimwald – Fatherland

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Giungono al prestigioso traguardo della quarta fatica sulla lunga distanza in circa quindici anni di carriera i nostrani Grimwald, band capitanata dal polistrumentista Helvoth, che vede la partecipazione del cantante RM (attualmente anche nei Malauriu) e di Bestia in qualità di session drummer. La musica dei nostri amici è stilisticamente inquadrabile come un raw black metal che guarda decisamente al passato (anche per quanto riguarda la registrazione, sporca quanto basta ma non eccessivamente confusionaria), incorporando influenze riconducibili al filone pagan-epic-viking in senso lato: questo elemento era già presente nei precedenti lavori “Lux Perit In Tenebris” e “Elitarian Shades Of Grimness” ma diventa preponderante in questo “Fatherland”, prendendosi buona parte della scena. Tuttavia l’incipit è affidato a un pezzo decisamente ruvido come “Death Reek Emanations”, che attacca senza troppi preamboli con un riff tagliente, di chiara estrazione bathoryana e al tempo stesso molto heavy (peraltro a mio parere uno dei migliori dell’album), e prosegue con un andamento secco ed essenziale ma dannatamente efficace, mettendo così immediatamente in evidenza le radici profonde di un sound che resta comunque legato a doppio filo alla vecchia scuola norvegese (ma non solo) della prima metà degli anni novanta.

Le atmosfere però mutano e si fanno meno necrotiche e decisamente più magniloquenti nella parte centrale dell’album, in particolare nella title track, suite di circa diciassette minuti di durata, che rappresenta (al di là di qualche sbavatura e ridondanza di troppo) il cuore musicale e concettuale del lavoro: con la sua alternanza tra sfuriate al fulmicotone e parti arpeggiate, tra riff furiosi con contorno di blast beats glaciali e momenti ambientali e narrati, fino alla conclusione più ariosa ed epica, richiama alla mente ancora una volta i Bathory (in questo caso quelli di “Hammerheart” e di “Twilight Of The Gods”) o gruppi meno noti come gli Ancient Rites, ai quali la proposta dei Grimwald potrebbe essere accostata con buona approssimazione. Un approccio che si mantiene costante anche in “I Am The Storm” e “Black Urns”, sicuramente più fruibili grazie al loro minutaggio più contenuto: la prima evoca scenari medievali e battaglieri mentre la seconda ha un andamento più dolente e composto, quasi da litania funebre (specialmente nella sua parte centrale), ed entrambe sono marchiate a fuoco da clean vocals che seguono ed esaltano a dovere il feeling di ciascun brano.

Chiude “Total Grimness”, pezzo vagamente darkthroniano, dinamico e ficcante, che incornicia il lavoro riprendendo il piglio più aggressivo dell’opener, pur perdendo il confronto in termini di impatto ed efficacia esecutiva. Siamo quindi di fronte ad un album riuscito, probabilmente il più riuscito nell’ormai abbastanza nutrita discografia dei Grimwald, composto da canzoni che manifestano ognuna una diversa sfumatura nell’ambito di un discorso musicale che rimane comunque coerente rispetto alle proprie premesse di fondo (il che non è poco). Per fortuna è scongiurato l’effetto “calderone” che notiamo in molti casi e che rende i brani sostanzialmente indistinguibili tra loro pur in contesti nel complesso non disprezzabili: qui invece ogni pezzo ha la sua personalità, si lascia memorizzare, e questo è indice di buona ispirazione e di attenzione ai dettagli in sede compositiva, attenzione che riguarda anche il cantato, uno screaming granitico e ferale, che però segue sempre con naturalezza il mood del momento, facendosi ora più violento, ora più tragico. In definitiva un disco maturo e completo, di cui consiglio senz’altro l’ascolto.