Parliamoci chiaro, le ri-registrazioni dei classici sembrano sempre un po’ mosse commerciali legate a qualche obbligo contrattuale con le etichette discografiche. Gli Horn, paladini del pagan black metal, sono riusciti negli anni a costruirsi una certa fama nei circuiti underground, con un seguito sempre più numeroso, ma non possono certo essere definiti “commerciali”. Con “20 Jahre” il mastermind Nerrath vuole riproporre alcuni brani tratti dai primissimi dischi della band, senza stravolgerli eccessivamente ma con nuova linfa e una forma più consona al mercato odierno, grazie alla maturazione tecnica e stilistica sviluppata negli anni e soprattutto a una produzione di altissimo livello. Una decisione che potrebbe far storcere il naso ai puristi ma che, a conti fatti, si rivela intelligente, tanto che potrebbe portare la band a un livello superiore in termini di visibilità. Gli Horn nel corso della loro discografia hanno enfatizzato in maniera sempre più marcata la loro appartenenza al filone pagan grazie a testi incentrati su tematiche naturalistiche e soprattutto all’inserimento di parti folk, con utilizzo di strumenti tradizionali, cori e voci pulite; il tutto incorniciato dalle vocals di Nerrath, veramente iconiche.
Questa crescita stilistica è riassunta in “20 Jahre”, che risulta un vero e proprio ponte tra passato e presente per quanto concerne l’attitudine delle esecuzioni, con il probabile obiettivo di voler colmare il gap tecnico ed esecutivo tra ieri e oggi, facendo anche una sorta di bilancio della carriera.
Non si tratta solo di un “greatest hits” che va dal 2004 al 2010 quindi, visto che i pezzi, seppur fedeli agli originali, portano alcune inevitabili modifiche che li rendono più fruibili, considerato l’ottimo master finale: tutto suona equilibrato, tra sferzate brutali tipicamente pagan black metal, mid tempo cadenzati e inni epici, passando per pseudo ballad di stampo folk, con richiami ai Månegarm in più frangenti.
Nella parte iniziale del disco il nostro amico riesce forse a esprimersi al meglio, con ottimi brani come “Höhen”, un classico mid tempo triste e riflessivo che, grazie a varie accelerate, crea una notevole dinamica e risulta intricato e affascinante, o la seguente “Das Jahr Geht Mit Eisiger Faust”, canzone da “discoteca pagan”, con un superlativo lavoro di chitarra, tra riff velocissimi, blast nervosi e voci d’oltretomba mai banali. Da ascoltare con un piglio differente sono invece gli ultimi pezzi, che mettono in evidenza il lato più malinconico della musica degli Horn: “Spätherbst” e “Fahrwasser” chiudono il disco con suoni solenni e un retrogusto di nostalgia al limite della disperazione, lasciando spazio a suoni ancestrali, tra archi e vocals pulite e sofferte.
In definitiva gli Horn tirano fuori un lavoro che, nonostante sia la riproposizione di vecchi pezzi ri-arrangiati, suona dignitoso e aiuta a far scoprire ciò che era la band a chi si è avvicinato alla stessa solo di recente, attualizzando il tutto in maniera eccellente, senza snaturare l’atmosfera originaria dei brani e rendendo questo “best of” un insieme compatto, che riesce a imporsi quasi come se fosse un disco nuovo di zecca. Professionisti.