Abbiamo seguito assiduamente su queste pagine virtuali i tedeschi Baxaxaxa dopo il loro comeback nel 2019 con il sorprendente ep “The Old Evil” e il successivo full length di debutto “Catacomb Cult” del 2021. La band capitanata dal batterista Condemptor, nata nel lontano 1992 da una costola degli Ungod, sembra ora tornata per restare e prova ne è questa seconda fatica sulla lunga distanza, che si presenta con l’ormai classico demone in copertina (è leggermente diverso, nero su sfondo bianco, ma è sempre lui) e prosegue il discorso stilistico dei lavori precedenti, mantenendone intatte le caratteristiche essenziali e, se possibile, estremizzandone alcuni aspetti. Il black metal dei Baxaxaxa resta semplice e lineare, saldamente ancorato alla “first wave” di gente come Hellhammer e Celtic Frost (per certi versi ci metterei pure i nostrani Mortuary Drape) ma con chiari riferimenti all’approccio di gruppi come primi Samael o i Barathrum. Ritmi mai troppo sostenuti (anzi in molti casi si vira decisamente verso territori doomeggianti), produzione secca ed essenziale che garantisce un suono vintage e affascinante, e un uso molto intelligente delle tastiere, che fanno la loro comparsa qua e là sottolineando a dovere l’atmosfera orrorifica e cimiteriale di alcuni passaggi.
E su tutto si stagliano come di consueto le urla da posseduto, sgraziate e lamentose, di Traumatic (alias Patrick Kremer, boss della Iron Bonehead Productions), che con il suo cantato atipico e inimitabile marchia a fuoco tutte le composizioni esaltandone il piglio ritualistico: a qualcuno potrebbe non piacere ma è indubbio che la sua voce è il più evidente tratto distintivo della band.
In “De Vermis Mysteriis” tutti questi elementi sono ben presenti e non potrebbe essere diversamente perché questo è il suono dei Baxaxaxa, un suono marcio e catacombale che riesce a distinguersi nel mare magnum dell’underground black metal pur rispettando quasi alla lettera i canoni del genere.
Certo l’effetto sorpresa è ormai svanito perché chi ha seguito la band in questi ultimi anni sa già esattamente cosa aspettarsi ma questo non significa che non si possa rimanere meravigliati di fronte alla naturalezza con cui i nostri amici, si potrebbe davvero dire mettendo insieme quattro note in croce (rovesciata), riescano a essere molto più lugubri, evocativi, primordiali e soprattutto “cattivi” di tanti altri gruppi impegnati soltanto a suonare alla velocità della luce nello sforzo di essere più black che mai. E le canzoni sono “vere canzoni”, hanno forma e struttura ben definite, non scivolano mai nel caotico e, cosa importante, si distinguono tra loro pur seguendo il medesimo canovaccio. Tra tutte vorrei citare la title track, sorta di inno autocelebrativo della band, “Awaken, The Old Thing In The Ground”, probabilmente tra i brani più doom e pesanti non solo di questo album ma dell’intera discografia di Condemptor e compagni, e infine la conclusiva “Necrolatry Libation”, una vera litania funebre che, nei suoi dieci minuti di durata, rappresenta il manifesto dell’attuale stato di forma dei Baxaxaxa.
Tirando le somme: è ancora possibile dire qualcosa se non di nuovo quanto meno di personale in una scena più affollata che mai, dove quasi tutti suonano più o meno allo stesso modo? Sì, e i Baxaxaxa ce lo dimostrano ancora una volta con questo disco, che per qualità complessiva forse si posiziona qualche gradino sotto rispetto al suo (per me) fenomenale predecessore ma si dimostra una prova matura e convincente, che merita la vostra attenzione.