Opera prima della one man band dietro la quale si cela l’omonimo ed enigmatico factotum Efraah Enhsikaah, questo “One Thousand Vultures Waiting To Be Fed” è il classico disco black metal punto e basta, sul quale non ci sarebbe molto da dire se non che semplicemente vale la pena di ascoltarlo se vi piace il black metal, specie quello dalle sfumature più atmosferiche e dal piglio funesto e primordiale. Il nostro amico non sembra essere molto socievole e non è interessato ad essere particolarmente presente in rete: di lui sappiamo che è inglese e nient’altro. Sappiamo anche che William Roussel, alias Meyna’ch, presta la sua ugola putrescente a un paio di canzoni (e precisamente la title track e “Dead Sun Shines Bright”) e in effetti possiamo dire con buona approssimazione che il suono di Efraah Enhsikaah deve qualcosa ai Mütiilation, più che altro quelli degli ultimi album, ma anche al più recente progetto Suicide Circle, come del resto ai Darkthrone più cadenzati del loro periodo mediano. Si prediligono infatti ritmi non troppo sostenuti e mid tempos, che creano un feeling inquietante e abissale; il che potrebbe risultare in parte inusuale trattandosi di un lavoro pubblicato dalla Osmose Productions, considerato che l’etichetta francese ci ha abituato nel corso degli anni a massicce dosi di violenza e velocità variamente assortite.
Qui invece, come detto, si punta sull’atmosfera: una scelta sonora che viene resa in maniera abbastanza efficace grazie a chitarre distorte, fredde e nebbiose, dal tipico suono grezzo e grattugiato, e ad uno screaming decisamente sofferto, su toni medi e non eccessivamente striduli; mentre la batteria e il basso sono costantemente in primo piano, elemento questo che non riscontriamo troppo di frequente in ambito underground black metal. Una ricetta semplice quindi, quasi elementare, che tuttavia soddisfa ancora il nostro palato come la cara e vecchia pizza margherita: l’abbiamo mangiata mille volte ma è sempre buona. Anche perché i pezzi sono mediamente costruiti con criterio, pur senza strafare e senza sconvolgenti picchi qualitativi; non disdegnano qualche riff più graffiante così come, al contrario, momenti più melodici e malinconici, fino ad arrivare a dilatarsi e disperdersi a tratti in passaggi puramente atmosferici e ambientali: citerei su tutti “Letharia Vulpina”, non a caso scelta come singolo perché particolarmente rappresentativa del sound di questo progetto, di cui possiede tutte le caratteristiche salienti finendo per essere una sorta di efficace riassunto del disco. Insomma, credo che abbiate capito che cosa andrete ad ascoltare una volta premuto il tasto play: black metal punto e basta, di certo ben concepito e ben suonato ma senza sorprese, con tutti i pregi e i limiti del caso; a voi la scelta quindi.