Dopo una pausa di sette anni, il Prague Death Mass fa il suo ritorno, organizzato da Altars Ablaze / Heaving Earth e Cult Of Fire e uno staff molto preparato. Riportano in vita uno dei migliori punti di ritrovo in Europa per gli appassionati di black e death metal. Il festival, con una line up di alto livello, ha naturalmente fatto sold out alcune settimane prima dell’evento. Oltre alle due giornate di concerti, l’organizzazione offre anche la possibilità di visitare l’ossario di Sedlec al mattino, con un bus appositamente allestito. Location unica nel suo genere per gli amanti dell’oltretomba. La struttura che ospita l’evento, la Meet Factory, può sembrare grezza ma è affascinante. Nonostante il tutto esaurito, permette di godersi lo spettacolo senza grandi folle. Nell’area merch troviamo le etichette Urtod Void, Eternity Records, Metal Age Productions e Lavadome Records. L’acustica del locale è perfetta, il locale è ben ventilato, evitando così il rischio di sauna durante i concerti. Inoltre, c’è un’area ristoro esterna con prezzi molto accessibili. Dopo alcuni ritardi dovuti ai collegamenti ferroviari e al volo, arriviamo a Praga, lanciamo i nostri bagagli in albergo e arriviamo in loco giusto in tempo per i Misotheist. Purtroppo abbiamo perso l’esibizione dei Baxaxaxa e altri opener interessanti.
DAY 1
Misotheist
Le due giornate del festival offrono molti nomi norvegesi. La Scandinavia affascina sempre il pubblico con il suo black metal. Kråbøl, leader della band, con il suo corpse paint molto classico dimostra di essere un buon frontman. Con due album all’attivo, rilasciati entrambi da Terratur Possessions, la band sfoggia una buona padronanza del palco. Riff monolitici, dissonanti e malinconici incantano la folla. Il sound della band è moderno, senza particolari riferimenti a gruppi del passato. Il loro set di cinquanta minuti scorre abbastanza bene.
Diocletian
Entra in scena un act sicuramente molto atteso in questa prima giornata. I Diocletian sono ormai tra i nomi più importanti della scena war metal internazionale. Non ci sono scenografie particolari, solo molta violenza. Come carri armati, i quattro incappucciati vanno direttamente all’attacco. Il pubblico è molto preparato e conosce bene la setlist. La tensione sale e si sente nell’aria. Quasi un’ora di brani tra cui “Doom Cult”, “Black Dominion”, “Wretched Sons” e “Nuclear Wolves”. Una selezione ben strutturata in ordine cronologico di uscita, con un salto indietro solo nella chiusura quando si torna al primo album con “Antichrist Hammerfist”. Il pubblico è letteralmente asfaltato, riff dopo riff.
Hell Militia
Arrivano gli Hell Militia direttamente da Parigi, con quattro album all’attivo, l’ultimo risalente al 2022, “Hollow Void”, che non mi era dispiaciuto affatto. Avevo però aspettative più alte riguardo a questo gruppo. Purtroppo il nuovo cantante non rientra nelle mie corde e ritengo che la sua voce aggiunga un taglio troppo moderno alla band, specialmente in confronto al resto del bill della giornata. La loro esibizione è gradevole dal punto di vista scenico, con proiezioni a tema horror e serial killer. Il precedente cantante, o ancora meglio, la precedente presenza di Meyhna’ch, avrebbe migliorato notevolmente la situazione.
Djevel
Torniamo in Norvegia, questa volta ad Oslo; cala la nebbia e arrivano candelabri e tastiere sul palco. La band vede alle pelli il mitologico Faust. Negli ultimi anni hanno pubblicato numerosi album che non hanno mai deluso il pubblico. Non è la presenza di Faust o la provenienza della band a influenzare i giudizi su questo progetto; la qualità della proposta è davvero alta, sia in studio che dal vivo. Il fonico fa un lavoro eccellente con suoni fedeli al sound degli album, il che non è affatto semplice quando si parla di alcune proposte black metal in un contesto live. Il frontman, che ritroveremo anche l’indomani con l’esibizione dei Mare, dà vita a un vero e proprio rituale. Una voce cavernosa accompagnata da riff violenti e veloci alternati a parti più cadenzate e batterie terzinate. Gli intermezzi delle tastiere con voci pulite e le chiusure con il pianoforte sono il punto forte della band. Respiriamo qualcosa di puro e norvegese senza dover necessariamente ascoltare proposte dal passato.
Mortuary Drape
Nonostante l’esterofilia sia predominante in Italia, possiamo dire che band come i Mortuary Drape sono diventate una vera istituzione all’estero. L’occult metal italiano, o come vogliamo definirlo senza troppe etichette, affascina il pubblico di tutto il mondo. Freschi di contratto discografico con Peaceville Records e con un album in uscita tra pochi giorni, i nostri hanno il compito di chiudere la serata come headliner. L’odore di incenso, i lumini cimiteriali e il banco di Wildness Perversion arrivano sul palco. La scaletta si apre con “All In One Night,” un brano estratto dall’ep che precede il nuovo album in uscita. È un brano nuovo, ma che per quanto mi riguarda sa già di classico dei Mortuary Drape. La setlist ripercorre la discografia con molti brani classici, specialmente da “Secret Sudaria” e “All The Witches Dance”, che il pubblico sembra apprezzare particolarmente. È un’esibizione davvero fisica, che chiude bene la serata con una band in grande forma, a cui auguriamo di calcare ancora molti palchi internazionali, vista la qualità della loro proposta.
DAY 2
Ci aggreghiamo al tour per visitare l’ossario di Sedlec, anche se la sveglia non è stata facile dopo aver assistito ai concerti fino alle due del mattino. Un bus organizzato appositamente per il festival ci porta in questa location davvero unica, dove ammiriamo la chiesa internamente ricoperta di teschi e ossa umane. Durante il viaggio, la nostra guida ci racconta un po’ la storia di Sedlec. Dopo circa un’ora e mezza sul posto, ci rimettiamo in viaggio e siamo riportati direttamente alla location del concerto poco prima dell’inizio.
Bohemyst
Aprono la seconda giornata i Bohemyst, band ceca black/death metal. Nati come Astaroth e successivamente noti come Avenger, sono una delle band degli anni novanta più note nel panorama metal della loro nazione. L’esperienza del gruppo è subito visibile sul palco, dove tutti svolgono il loro ruolo con una certa professionalità. La band è davvero tecnica e con un sound massiccio che genera un muro di suono a tratti doom. Interessante è la scelta di campionature di alcuni strumenti durante i brani che vanno a creare un sound epico.
Thelma Ramon
La cantautrice texana, oggi trasferitasi in Belgio, propone un doom psichedelico, la proposta forse più “soft” in queste due giornate. La sua voce mi ricorda i Coven e i nostrani Messa. Sezioni ritmiche un po’ tribali e desertiche ci trascinano in questo crescendo tra doom e post-rock.
Heaving Earth
Heaving Earth, un’altra band ceca che oggi gioca in casa e che prende il nome da un celebre brano dei Morbid Angel. Il cantante, con una corona di spine e delle lacrime di sangue che colano sul viso, padroneggia bene il palco. Suonano death con BPM estremamente veloci e linee di chitarra che lasciano spazio anche a melodie e stacchi che creano una certa tensione. Il cantante annuncia alcuni brani come un vero profeta durante i brevi intro. Un set di quaranta minuti davvero malvagio e oscuro per una band che merita attenzione nel panorama death metal odierno.
Ritualization
Direttamente dalla Francia, con gli ultimi due lavori pubblicati per Iron Bonehead, propongono un death metal con influenze war. La loro esibizione è estremamente feroce, caratterizzata da blast beats spietati, riff taglienti e un approccio vocale primitivo. Se siete fans di gruppi come Impiety, Incantation e Angelcorpse, questa è una band da non perdere.
Thorybos
Tornata da poco sulla scena con Ryan Förster (Blasphemy/Conqueror) al basso, la band ha ripreso l’attività live e si spera andrà presto anche in studio. Le aspettative erano alte per questo gruppo tedesco, soprattutto dopo aver letto pareri positivi da parte di Thomas Tannenberger degli Abigor. Sicuramente sono stati uno dei punti più alti del festival, offrendo una performance black/death devastante, di una violenza inaudita. Con proclami di odio, più catene e borchie di un negozio di ferramenta e il frontman che si è messo le dita in gola fino a vomitare, i Thorybos hanno dimostrato di sapere come tenere un palco. La loro setlist propone nove brani tratti dalla loro discografia, oltre a due cover che mandano il pubblico in delirio: “Ritual” dei Blasphemy e “Sadomatic Rites” dei Beherit.
Void Ov Voices – Attila Csihar
Abbiamo recentemente recensito questo set in una data esclusiva nel Regno Unito che precedeva questo tour europeo. Attila ha proposto praticamente la stessa performance di vocalizzi su uno stage più grande e davanti a un pubblico molto numeroso. Qui il report della data di Londra.
Hierophant
Un’altra band italiana presente al festival, la cui ultima uscita discografica (“Death Siege”, pubblicato nel 2022 per Season Of Mist) ha ricevuto ottimi riscontri e li ha portati a calcare molti palchi negli ultimi tempi. Il gruppo emiliano offre una scenografia imponente sul palco, tra le più grandiose del festival. Tra blast beats assassini e riff morbosi gli Hierophant propongono una performance estremamente intensa e senza compromessi. Personalmente ho apprezzato molto la direzione war metal che hanno intrapreso rispetto al loro percorso passato. La loro esibizione è solida e contribuisce a posizionare la band italiana in alto in un festival così importante.
Thy Darkened Shade
Arrivano sul palco i greci Thy Darkened Shade, con il loro album “Liber Lvcifer II: Mahapralaya” uscito a gennaio di quest’anno, a nove anni di distanza dal primo capitolo. Nonostante le tematiche e l’aspetto della band greca facciano presagire una proposta più classica, ci ritroviamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. Il leader e compositore principale della band offre un ampio range vocale, il bassista suona sezioni molto tecniche con un basso fretless, creando un sound moderno e ben definito. Questa band è sicuramente adatta agli amanti del progressive e dei concept album ricercati. Durante la loro esibizione c’è stato un momento epico quando il frontman ha lanciato alcune ossa tra la folla, colpendo direttamente in fronte uno spettatore inerme, che di sicuro non dimenticherà facilmente questa performance.
Bolzer
Quasi un decennio fa avevo seguito questa band agli esordi discografici acquistando due dei loro ep, “Aura” e “Soma”, che non mi avevano affatto deluso. Il duo svizzero ha mantenuto saldamente il proprio marchio di fabbrica, aggiungendo più linee melodiche di chitarra e voci pulite. La loro proposta potrebbe non essere adatta a chi cercava black metal grezzo e primordiale al festival ma comunque è stata una performance godibile.
Mare
Il palco è nuovamente allestito con candelabri e altari, e il frontman Kvitrim (che abbiamo visto anche ieri con i Djevel) indossa un abito nero raffigurante un diavolo rosso e oggi imbraccia una Gibson Les Paul. Lo spettacolo è unico nel suo genere e personalmente apprezzo la band ancora di più dal vivo che in studio. I Mare propongono riff e arpeggi molto semplici e ossessivi, con brani molto lunghi che però non risultano mai noiosi o statici. Il gelo della Norvegia e l’oscurità delle canzoni permeano l’aria. Senza proclami sul palco, solo qualche bicchiere di vino rosso bevuto avidamente e qualche bicchiere rotto sul palco, i brani si susseguono uno dopo l’altro.
Dead Congregation
Siamo ormai giunti agli sgoccioli del festival, un po’ provati fisicamente, ma teniamo duro per i Dead Congregation. La band greca è attiva da quasi vent’anni ed è ben rodata nelle esibizioni live, girando nel circuito underground da tanto. Offrono un death metal classico e senza compromessi per cinquanta minuti senza tregua dedicati agli amanti di gruppi come Sadistic Intent e Immolation. La loro esibizione è impeccabile dal punto di vista dei suoni e anche scenico.
The House
Vladimír Pavelka, insieme al resto dell’attuale line up dei Cult Of Fire, propone un set black metal tributo ai classici dell’horror, spaziando da “Pet Sematary” dei Ramones a cover di John Carpenter. Il palco è arredato con due bare viste precedentemente nella zona merch, oltre a croci che pendono dal tetto. Vladimír Pavelka sembra uscito direttamente dalla botola del film “La Casa” e il set è accompagnato da video cinematografici sullo sfondo. Una chiusura degna per questo festival, destinato a rimanere nella storia prima ancora di iniziare.
Lunga vita al Prague Death Mass e grazie per l’ospitalità che ci hanno riservato durante questi due giorni di festival.