Questo disco ha ben poco a che fare con i lavori di cui solitamente ci occupiamo su queste pagine virtuali però c’è un caprone digitale e sintetico su sfondo nero in copertina; quindi Lucifero approva e chi siamo noi per dire il contrario? Digitale e sintetico sono in effetti le parole chiave per descrivere questo lavoro perché “Shadow Empire” è un disco di synthwave interamente strumentale. Un genere che ultimamente sta venendo alla ribalta, concettualmente per diversi aspetti non troppo distante dal dungeon synth o dal dark ambient, che dimostra di avere grandi potenzialità espressive e che si sposa bene con elementi metal variamente assortiti, come avviene anche in questo caso. Aerik Von è un musicista di New York, un veterano sulla scena da oltre venticinque anni, che ha suonato in una marea di gruppi underground e che con questo suo omonimo progetto è passato dall’heavy metal all’hard rock al punk, per approdare ora appunto al synthwave e raccontarci, attraverso quella che è in sostanza una narrazione in musica, la storia di un misterioso omicidio in salsa fanta-noir e cyberpunk. Un’idea sfiziosa che si trasforma in un’esperienza di ascolto piuttosto coinvolgente, al netto di qualche veniale ingenuità in fase di produzione, soprattutto per quanto riguarda il suono della chitarra, che a tratti dà l’impressione di essere troppo impastato e troppo in secondo piano. L’album ha una resa assolutamente vintage, che ci fa tornare indietro agli anni ottanta, quando questo genere di sonorità aveva guadagnato una grande visibilità, sebbene in chiave pop e con un piglio meno dark di quello che caratterizza invece le canzoni qui presenti.
Canzoni che risultano molto efficaci e abbastanza varie, benché costruite con pochi elementi che di fatto ritroviamo in tutto il disco: semplici linee di synth, ora ossessive ora invece più ariose, che si intrecciano a creare la struttura portante del pezzo mentre i battiti di una drum machine ben programmata ne dettano il ritmo, cadenzato o più frenetico, con un suono del tutto simile a quello delle vecchie batterie elettroniche che proprio negli anni ottanta spopolavano. Vi sono però anche altri elementi: ad esempio la chitarra, che entra in scena spesso e volentieri, sia con assoli classici che attraverso un accompagnamento ritmico solido e carico di groove, rendendo ovviamente il tutto più rock-metal oriented.
Si passa così dall’approccio da pura colonna sonora di “666th Street Subway Station” (che sembra uscita direttamente dai titoli di testa di qualche vecchio film di John Carpenter) alla patina quasi elettro-industrial delle più violente “Death Machine” e “Digital Cocaine”; dall’aura pop-dark di episodi più rilassati come “City Morgue” e “Dark Night Of The Synthetic Soul” (che potrebbero persino portare alla mente qualcosa di Billy Idol) all’elettronica più danzereccia di “I Remember (Bad News)”, in un mix che risulta complessivamente compatto, nonostante le diverse variazioni sul tema. In definitiva “Shadow Empire” è un album riuscito, ben congegnato e ben suonato, che mi sento di consigliare per un ascolto una volta tanto inusuale: piacerà sia agli amanti del synthwave sia ai metallari (come si diceva un tempo) “di larghe vedute” (e d’altra parte io ci ho sentito vagamente pure qualcosa dei Summoning!).