Terzo lavoro sulla lunga distanza per i canadesi Crystal Coffin, trio di Vancouver che suona fondamentalmente un black metal melodico, con la caratteristica di basare le proprie liriche su tematiche del tutto estranee al black più ortodosso, come evidenziato dalle incredibili copertine dei loro album, più vicine a certo cinema horror o alla narrativa fantascientifica. E proprio la copertina ci suggerisce che questo è un disco che necessita di più ascolti, e la musica lo ribadisce in quanto ogni singolo brano è fortemente influenzato da elementi progressive e da riferimenti ad ambient ed elettronica: tra batteria multiforme, chitarre potenti ma sempre sotto controllo e vocals graffianti, sono soprattutto synth e pianoforte a farci immergere in questo mondo fantastico, creando atmosfere alla “Ai Confini Della Realtà”. E infatti, se nel disco di debutto “The Transformation Room” la narrazione era legata alla carestia dell’Holodomor che colpì l’Ucraina in epoca sovietica, già nel secondo platter si abbracciava un concept fantascientifico, utilizzando come base di partenza il disastro di Chernobyl del 1986. In quest’occasione la band riesce a superare sé stessa, sia dal punto di vista tecnico che sotto il profilo lirico: “The Curse Of Immortality” ha tutto ciò che di buono il gruppo ha saputo fare in passato ma con maggiore maturità compositiva, consapevolezza dei propri mezzi e cura studiata di ogni singolo arrangiamento.
La storia, divisa in otto capitoli, si orienta verso un futuro in cui le limitazioni all’esistenza non esistono più, nel bene e nel male. Il protagonista, vagamente identificato, commette vari tentativi di suicidio e viene collocato in un centro di riabilitazione in cui personale medico clandestino col favore delle tenebre conduce strane sperimentazioni sui pazienti privi di sensi: attraverso una combinazione di criogenetica, riti oscuri e poteri governativi, il soggetto diventa suo malgrado il primo caso completato con successo di immortalità verificata, una vita alla quale non seguirà più la morte. Insomma, roba da far impallidire “X Files” e qualche vecchio album degli Hypocrisy. Dal punto di vista prettamente musicale siamo di fronte a quanto di più pesante e veloce i Crystal Coffin abbiano mai pubblicato, culmine sonoro dei loro sforzi degli ultimi sei anni (tanti ne sono passati dalla loro formazione). E risulta difficile parlare dei singoli brani perché questo è un lavoro che va ascoltato nel suo insieme: ma se dovessimo indicarne qualcuno più rappresentativo allora le preferenze andrebbero alla potente opener “Shadows Never Cast”, a “The Vortex Of Earth And Death”, abbellita sul finale da una lunga e sognante coda strumentale, e a “Final Breaths”, dove il cantato pulito riesce a dare grande enfasi alla storia narrata.
Come sempre nei Crystal Coffin forma e contenuto vanno di pari passo e l’artwork di copertina, tipicamente dettagliato (opera anche questa volta del chitarrista e tastierista Lenkyn Ostapovich), al pari del disegno interno in stile “documento riservato”, completano vividamente il concept di “The Curse Of Immortality”. Se in questi anni avete apprezzato band come Vorga, Imperialist, The Spirit, e tutto quel filone che fa della melodia “aliena” e della fantascienza il suo nucleo compositivo e narrativo, allora in questo disco, sospeso tra suggestioni vintage e uno sguardo al futuro, tra progressive e metallo estremo, e sicuramente il più audace e completo della band ad oggi, troverete probabilmente una delle migliori uscite di quest’anno. Avanguardia.