Attivi dal 2019 e con alle spalle una manciata di ep e due album, i greci Sorry… sono il classico progetto depressive black metal tendente al suicidal che interpreta il genere in maniera ortodossa, facendone propri tutti i tradizionali stilemi, musicali e non solo, divenuti tali nel corso degli ultimi vent’anni o poco più, ivi compresa una certa macabra ironia, già presente nel moniker. Per descrivere l’attitudine e l’immaginario della band, evidenti fin dall’artwork di copertina (quell’immagine in effetti l’abbiamo vista e rivista in tutte le salse) e dai titoli, possiamo riportare una dichiarazione del chitarrista e principale compositore Dimitris, il quale afferma: “siamo una protesta contro ogni forma di vita, espressa attraverso opere di dolore e isolamento”. Tutto molto chiaro quindi, così come sono assolutamente espliciti i riferimenti stilistici che influenzano la musica dei nostri amici, individuabili nei vari Shining, Hypothermia, Lifelover, Silencer e tutta l’allegra combriccola, con un tocco di romanticismo decadente che rimanda ai francesi Nocturnal Depression.
In questo “Self Inflicted Razor Cutting” la musica resta sostanzialmente quella: linee di chitarra tristi e malinconiche, arpeggi e melodie ipnotiche e disperate, qualche sprazzo più veloce e tirato, qualche inserto tastieristico qua e là, urla di dolore e agonia; il tutto incorniciato da una produzione grezza come si conviene ma sufficientemente potente.
I detrattori del genere potrebbero rapidamente liquidare questo disco come il solito bignami di depressione musicale standardizzata, dal sapore vagamente adolescenziale, ad uso e consumo degli ascoltatori di metal estremo o di qualche gothic girl inquieta, ma sarebbe un’analisi ingenerosa e poco veritiera.
Perché, se è vero che i Sorry… non fanno molto per diversificare la loro proposta da quella di tanti altri interpreti del genere (il che ad essere onesti vale per il 95% dei gruppi che solitamente trattiamo su queste pagine virtuali) e che le frasi un po’ altisonanti tipo quella riportata sopra potevano avere un certo effetto fino agli anni duemila mentre oggi lasciano il tempo che trovano o rischiano addirittura di suscitare ilarità, è altrettanto vero che la band sa il fatto suo, suona con la necessaria convinzione ed è in grado di costruire pezzi emotivamente coinvolgenti, il che non è cosa da poco nell’ambito di un filone fin troppo omogeneo e obiettivamente inflazionato ormai da anni.
In particolare è apprezzabile la performance del cantante Void, dotato di un’ugola al vetriolo, attraverso la quale ci vomita addosso tutto il suo triste disgusto improvvisando lì per lì linee vocali che si adattano di volta in volta alla musica: infatti non ci sono testi e questo permette al singer di esprimersi senza vincoli perché, per dirla ancora con la band, le “emozioni umane più fondamentali non possono essere espresse attraverso le parole”.
In definitiva i Sorry… fanno il loro sporco lavoro, l’album è convincente e canzoni come la titletrack e “Days Of Uselessness” non potranno lasciare indifferenti gli amanti di questo genere di sonorità. Chi si accontenta gode, anzi in questo caso specifico soffre.