Pachidermico come l’ingresso sul ring di Undertaker ai tempi della gimmick del becchino, “Abysmal Night”, atteso album di debutto dei teutonici Beyondition, è un cliente molto scomodo per le nostre notti già insonni e ha rappresentato una grandissima sorpresa per noi addetti ai lavori. Qui tutto è old school e lontano da contaminazioni di sorta; tutto ciò che può strizzare l’occhio alla tecnologia o alla modernità qui è bandito, prende fuoco come un vampiro alla luce del sole; qui tutto è più buio della cantina nel seminterrato della casa in campagna dei nonni, dove c’è odore di umido e la muffa la fa da padrona; qui tutto si è fermato da oltre vent’anni. Ed è questa la verità, perché “Abysmal Night” si muove lentamente, goffo come un orco ma letale come un serpente. Le nove tracce che compongono questo esordio spaziano tra death metal d’annata, di quello luciferino, che prende spunto dai primissimi Unleashed, Samael, Tiamat o Asphyx, giusto per citare qualche nome, e black funereo alla Mortuary Drape, condendo il tutto con riff affilati dal retrogusto thrash alla Sepultura dei primi lavori, sino ad “Arise” incluso (ascoltate “Executioner” per capire a cosa alludiamo ma attenti a non buttare giù i muri di casa). Un bel casino se vogliamo, ma poco importa perché appena premuto il tasto play veniamo catapultati in un camposanto che di santo non ha nulla, dove incontriamo tre simpatici non morti che rispondono ai nomi di Matin Vasari (basso, voce), Patrick Schroeder (batteria) e Armin Rave (chitarra), illustri bipedi dalle sembianze putrefatte piuttosto noti sulla scena underground estrema tedesca, nella quale sguazzano come maiali nel fango, e che con questo disco ci propongono quella che potrebbe essere una delle migliori release di quest’anno.
Metallo funereo, lento e ammaliante, velenoso ma suadente: il crush e il groove sono massicci e risuonano come se fossimo caduti in un abisso senza fondo; niente effetti speciali, il suono dei Beyondition è spogliato di ornamenti e si concentra solo sul potere primordiale dei riff e dei ritmi ipnotici. Ad essere precisi di tanto in tanto fa la sua comparsa un debole e spettrale tocco di synth che dà un’ulteriore patina sepolcrale alla musica, mantenendola in precario equilibrio tra pesantezza e una certa atmosfera soprannaturale. Non parleremo dei singoli pezzi, non ha alcun senso, ma possiamo affermare che la performance di Matin al microfono è davvero letale grazie a un growl profondo e ai costanti suoni che emette anche nelle parti non cantante (“Uh!”), e interessanti sono anche le sporadiche strofe in “clean” che danno enfasi alla sensazione di oppressione emanata dalle canzoni.
Strumentalmente persiste un guitarwork mai domo, quasi imbizzarrito, con buona pace del vostro collo e piacere del vostro fisioterapista, in coppia con un basso pulsante, nitido e legnoso, mentre il drumming ha quel non so che di tribale a costante sostegno dei pezzi e crea così un amalgama indistruttibile. Death metal? Black metal? Probabilmente entrambi, di sicuro il tutto è oscuro e freddo, lento e cinico, straziante ma mai malinconico; questo è un disco inquietante ma al contempo accattivante, e agli amanti dell’orrido potrebbe perfino trasmettere del buon umore: quindi prendete un bel cappotto di pelle nera, cappello, pala e via a seppellire cadaveri. Mi ripeto, tra le uscite migliori di quest’anno.