“Nelle scritture degli uomini mortali esiste una tavolozza di stelle e carne… Yith-Melle, la dimensione delle catene… Dove la risonanza della magia mortale scaturiva dall’architetto cosmico, decorato con un milione di occhi e denti… Il creatore della peste e del tormento… Si è aperta una crepa nel mondo… Per svelare il Brac’thal…”. A me sembra tutto molto chiaro ed è esattamente di questo che parla l’ep di debutto degli irlandesi Hasturian Vigil, fuori per la connazionale Invictus Productions, in un delirio fantasy-mitologico che pesca a piene mani da autori come H.P. Lovecraft (ovviamente immancabile), Arthur Machen, Lord Dunsany e William Butler Yeats, tra terrori cosmici, pantheon mostruosi e indicibili maledizioni. La coppia formata da Cxaathesz e Shygthoth ci racconta il mito di Yith-Melle, illuminando questo mondo magico con la flebile luce di tremule torce, e lo fa suon di black metal che in questo caso fa rima soprattutto con metal, impastato com’è di suggestioni speed, thrash e classicamente heavy, con qualche puntatina in territori vagamente doom, che lo rendono al tempo stesso grezzo ma complesso e sfuggente, non immediatamente inquadrabile in un genere preciso. Si può dire infatti che i nostri amici suonano black metal a modo loro, tenendosi lontano dai tradizionali stereotipi di scuola scandinava e con evidenti influenze che arrivano invece direttamente da pesi massimi come Mortuary Drape, Absu e Mercyful Fate e da gruppi meno conosciuti ma sicuramente interessanti come Negative Plane e Witching Hour, tanto per fare qualche nome in ordine sparso.
Volete passaggi aggressivi e brutali? Ci sono. Volete momenti più oscuri, dal piglio epico e arcaico? Ci sono anche quelli. Volete riff? Ce ne sono in abbondanza, come se piovesse. Volete assoli? Ce ne sono, sia di stampo melodico sia di quelli che noi scribacchini ormai a corto di parole siamo soliti definire “slayeriani e fulminei”, con una di quelle belle espressioni fatte che ci piacciono così tanto.
Insomma in questi quattro brani lunghi e strutturati c’è di tutto e di più, in un caos labirintico dove regna l’approccio “cambio stile e atmosfera ogni dieci secondi” ma che in fin dei conti sembra avere il suo bel perché. Di sicuro questo “Unveiling The Brac’thal”, nonostante l’aura di ignorante arroganza metallica che lo avvolge come un nuvolone temporalesco in una calda serata estiva, non è di certo un disco di quelli che si possono ascoltare distrattamente fischiettando sotto la doccia e il suo essere cangiante e variopinto priva l’ascoltatore di molti punti di riferimento consueti, obbligandolo a prestare attenzione e spesso a domandarsi “ma che stanno facendo?”. Sì, perché non si fa in tempo ad abituarsi ad un certo mood che subito le cose cambiano, in un vorticoso gorgoglìo chitarristico le cui trame si intersecano e attraversano gli stili in maniera quasi repentina ma, per fortuna, senza lasciare in bocca il sapore amaro dello sfoggio di tecnica fine a sé stesso.
E insomma almeno al primo ascolto si fa una certa fatica ma poi è un piacere lasciarsi trasportare e scoprire che, paradossalmente ma nemmeno troppo, i momenti più riusciti sono proprio quelli meno black e più tradizionalmente ottantiani, come suono e concezione non troppo lontani dalle cose più pesanti degli Angel Witch, e cito a questo proposito i due brani finali, “Nine Bellowing Hounds” e “Velvet Paintings Gaze”, più compatti rispetto agli altri due e dove abbondano influenze di questo tipo. Qualcuno lo ha già definito NWOBHM (nel senso di “new wave of black heavy metal”) ed è un filone, pur sempre revival, che si sta costruendo il suo discreto seguito e a cui credo che anche gli Hasturian Vigil possano tutto sommato essere ricondotti. Diventerà una “moda”? Ai posteri l’ardua sentenza.