Nella primavera del 2021 recensimmo “Ferocious Blasphemic Warfare”, debut album dei finlandesi Wolves Of Perdition che, pur non inventando niente di nuovo, riuscì ad attirare la nostra attenzione grazie alla capacità di unire un songwriting mai del tutto riconducibile ad un sottogenere definito, una produzione moderna, potente e aggressiva, e un’ottima scelta di melodie quasi tribali. Oggi, a sorpresa, ritornano i lupi della perdizione e ci sputano in faccia questo nuovo “Ultraviolence” riprendendo il discorso esattamente da dove lo avevano lasciato, con qualche irrinunciabile cambiamento. La semplicità e la freddezza, così come la malizia irradiata nel debut, questa volta vengono messe da parte a favore di una scrittura che ammicca maggiormente alla scuola svedese, quella più brutale e drammatica per intenderci; i suoni si fanno più sottili e affilati, meno compressi, mentre le linee melodiche cambiano ispirazione, risultando più malinconiche e deprimenti, pur se fiere e marziali. Ad occhio la prima grossolana differenza è la durata del disco: nel predecessore avevamo a che fare con tredici pezzi per cinquantaquattro minuti, questa volta ci imbattiamo in sette tracce per trentuno minuti di durata, rimanendo in un limbo tra ep e full length, probabilmente a sottolineare la spiccata volontà di basare tutto su violenza e velocità, rendendo il discorso più diretto, elementare e prevedibile rispetto al precedente lavoro.
Ai primi ascolti possiamo imputare ben pochi difetti o pecche al disco, se non quello di suonare più anonimo, forse meno oscuro e dannato del predecessore: qui sembra di sentire quasi una miscela di Marduk, Belphegor e Dark Funeral, con qualche aggiunta melodica e malinconica, e un’impostazione scandinava ben delineata. Questo cambio di direzione si fa forte anche nella produzione, più pomposa e ruffiana, davvero notevole per un lavoro così brutale ed underground, che riesce a unire in maniera efficace la malinconia delle linee melodiche alla brutalità dei riff e alla velocità dei blast, sempre costanti per tutto il disco come un motopicco piantato nel cervello. Un suono gelido come il vuoto ma al contempo caldo come le fiamme dell’inferno, con melodie che difficilmente mancano il bersaglio, suonate per massacrare le orecchie, fa da cornice alla dichiarazione d’intenti satanici della band, che sottolinea con liriche sempre esplicite la propria repulsione verso qualsiasi tipo di religione.
Impossibile lamentarsi di brani come “Death Machine”, “Rain Of Blood & Ashes” e “The Funeral Hymn”, episodi di spicco di una violenta marcia anticlericale spinta alla velocità della luce, che sottolinea la crescita tecnica della band, grazie anche a un’interpretazione vocale di livello. Resta solamente l’amaro in bocca a causa della breve durata: due pezzi in più avrebbero dato maggiore sostanza al disco, anche per farci comprendere meglio il netto cambio stilistico. “Ultraviolence” è quindi all’altezza del suo titolo alquanto esplicito, miscela egregiamente sottili melodie e un’irrefrenabile rabbia che insieme creano un mostro affamato. Rimane il dubbio sulla virata stilistica, forse poco comprensibile in appena mezz’ora, ma probabilmente lo scopriremo con il prossimo disco che, come da regola non scritta, essendo il terzo, dovrebbe essere quello della verità.