L’underground italiano nasconde alcune realtà interessanti e meritevoli, che spesso sfuggono all’attenzione e che noi nel nostro piccolo cerchiamo di mettere in luce. È il caso di Veleno, progetto solista del quale si sa poco o niente, attivo da qualche anno e fautore di un black metal acido e cattivo, sporcato da influenze che potremmo definire industrial in senso lato, e finora proposto soltanto in formato digitale (trovate le sue release su bandcamp), secondo i dettami del “do it yourself” del nuovo millennio. Questo “Epistassi” è il secondo ep (il primo si intitola “Dentro, Nella Tempesta” e risale al 2022) e ci presenta una manciata di pezzi dai quali emergono alcune idee degne di nota, a mio parere soprattutto la mescolanza piuttosto ben equilibrata tra un riffing serrato e tagliente, con contorno di screaming demoniaco che si esprime come una sorta di rantolo odioso, e intrusioni di varia natura, che vanno da suoni inquietanti di organo e pianoforte a parti vagamente elettroniche che non nascondono un piglio a tratti quasi “danzereccio”. Il tutto nel quadro di un concept che si tiene abbastanza lontano da alcuni luoghi comuni tipici del black metal e si concentra invece su tematiche più introspettive, che sembrano riguardare la sofferenza e la disperazione individuale in rapporto a esperienze personali.
C’è tutto un panorama sotterraneo al quale questo genere di proposta sembra essere legata da un filo rosso e può essere per sommi capi ricondotta, che in Italia ha visto avvicendarsi a livello underground realtà come Impure Domain, 3 e, più di recente, Parasite, lungo un sentiero che arriva ai ben più noti Aborym e, per uscire dai confini nazionali, Mysticum. Ci sono indubbiamente diversi spunti interessanti ma questo “Epistassi” soffre di quello che è il comune limite di molte opere prime, o quasi, così concepite. E mi riferisco alla registrazione decisamente deficitaria e low-fi, che se può essere adatta per un lavoro raw black metal a mio parere non lo è per un disco di questo genere perché ne affossa l’impatto, ne confonde le sfumature e ne limita in generale la fruizione senza farne emergere a dovere l’atmosfera a tratti straniante e robotica, per non parlare del suono della drum machine, in alcuni momenti davvero troppo artefatto e soffocato.
Tutti difetti però tranquillamente superabili, specialmente da orecchie abituate a nefandezze sonore di ogni tipo, e che vi invito a superare dedicando comunque qualche ascolto a questo ep concentrandovi più sul contenuto che sulla forma. Vedremo come si evolverà questo progetto in futuro perché qualche piacevole sorpresa potrebbe riservarla.