Al contrario dello stereotipo che vede il black metal come un genere chiuso e ripiegato su sé stesso, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una serie sterminata di contaminazioni più o meno riuscite. Le tastiere e i sintetizzatori ovviamente non sono cosa nuova nell’ambito del metallo nero, visto che fin dai suoi albori alcuni dei suoi più fulgidi rappresentanti ne hanno fatto utilizzo creando sottogeneri diventati estremamente di successo, non ultimo il cosiddetto dungeon synth, particolarmente popolare nell’underground. Gli Outland Hill però fanno un passo avanti unendo i classici stilemi black metal ad una robusta e ottimamente confezionata dose di synthwave. Anche questo genere (che, per chi non lo sapesse, è una forma di musica elettronica che richiama le colonne sonore di film e videogiochi anni ottanta), in un periodo storico in cui impera la spasmodica ricerca dei bei tempi che furono, sta vivendo una grande ondata di popolarità, anche grazie a nomi di spessore che flirtano con la comunità metal come Carpenter Brut e Perturbator. Il trio francese, il cui mastermind in questo album è Septev, già attivo in numerose band di piccolo o medio calibro della scena transalpina, riesce nell’impresa, sulla carta quasi impossibile, di creare davvero un nuovo genere, caratterizzato da un suono quasi industrial in cui riff di chitarra tirati, assoli e uno screaming basso e rauco si fondono con una drum machine, che non disdegna i blast beats, e sintetizzatori analogici capaci di comporre melodie oscure, ferali e coinvolgenti, che potrebbero ricordare per certi versi la scena canadese, su tutti i magistrali Forteresse.
La parte elettronica è comunque preponderante su quella strumentale, cosicché risuoni prepotente una sensazione di retro-futurismo: si ha davvero l’impressione di ascoltare la colonna sonora di qualche film post-apocalittico fantascientifico con elementi horror e splatter; del resto, dietro l’idea dell’album c’è una storia che potrebbe essere tranquillamente la trama di qualche dimenticato e scalcinato b-movie anni ottanta. Ovviamente si tratta di un black metal in cui velocità e violenza lasciano spazio a melodia e atmosfera, per cui l’impatto complessivo dell’album assomiglia più ad un contorno che ad una portata principale, detto senza volontà di sminuire il risultato finale che è assolutamente eccellente. “Dodecahedron” è composto da sette tracce per una durata totale di poco più di mezz’ora, un minutaggio perfetto per mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore ed evitare cadute di tono. Tutto il disco è estremamente compatto e, sebbene di primo acchito non sia facile distinguere una canzone dall’altra, è evidente come la qualità complessiva rimanga alta per tutta la durata, con il picco che arriva alla fine con “Rain Splinters Town Part 1” e “Rain Splinters Town Part 2”. Come difetto potremmo segnalare delle linee vocali troppo piatte e raramente incisive.
Visto che il gruppo propone anche una storia dietro la musica, sarebbe stato più indicato dare maggiore risalto alla voce e di conseguenza ai testi, così come alle chitarre che ogni tanto vengono un po’ troppo dimenticate dalla produzione. Siamo comunque di fronte ad una scommessa riuscita sotto quasi tutti i punti di vista. Gli Outland Hill propongono un prodotto estremamente interessante, originale, dotato di una peculiare estetica e di un sound che potrebbe diventare un marchio di fabbrica. Se amate il black metal e la musica elettronica non potete perdervi questa uscita, nel caso in cui invece preferiate il black metal nudo e crudo, passate pure oltre.