“Un ritorno all’abisso del black metal”, con questa altisonante presentazione ci arriva in redazione il promo del progetto Borgtårn, misteriosa one man band norvegese dietro la quale si cela il mastermind e factotum Hávarðr. Borgtårn significa “torre del castello” e il castello immagino che sia quello in bianco e nero sgranato raffigurato nella classicissima copertina di questo album di debutto, che esce per la misconosciuta Humanity Plague’s Productions ed è in realtà la ristampa dell’omonimo demo pubblicato circa un anno fa. Ora, è evidente che bastano queste poche informazioni e un semplice sguardo d’insieme per intuire che tipo di musica suona il nostro amico. Avete detto raw black metal? Bene, avete indovinato ma era davvero troppo facile. Raw black metal certamente, di quello caratterizzato da un approccio particolarmente spettrale e nebbioso, che negli ultimi anni ha visto un’incredibile fioritura di gruppi, soprattutto nell’ambito della scena lusitana e di quella statunitense, tutti per la verità piuttosto simili tra di loro, alcuni qualitativamente interessanti e con alcune cose da dire, altri francamente evitabili, per non dire obbiettivamente inutili. E possiamo dire subito che la creatura Borgtårn sta tranquillamente nel mezzo e che questo è uno di quei dischi che si ascoltano volentieri, magari anche con punte di entusiasmo, ma che rischiano di essere dimenticati piuttosto in fretta, o in ogni caso confusi nel mare magnum di uscite che rientrano nel medesimo recinto sonoro. I paesaggi musicali dipinti sono agghiaccianti ed enigmatici ma al tempo stesso delineano un viaggio famigliare per quanti masticano abitualmente questo genere di sonorità e seguono più o meno assiduamente la scena raw più fedele allo spirito del primo black metal norvegese, o che comunque vuole presentarsi come tale.
Oltre al “true norwegian black metal” della prima ora, i riferimenti stilistici principali di questo “Sorte Makt” li possiamo trovare in gente come Drowning The Light, Black Cilice, Lampir, Grógaldr, Fleŝŝ e simili, quasi tutte creature che abbiamo seguito sulle nostre pagine virtuali. Un suono grezzo e low-fi, un assalto sonoro a ritmi implacabili, classici riff penetranti, freddi, spietati, e un’atmosfera piena di desolazione e disperazione, accentuanta ancora di più dallo screaming lontano e nebuloso (con testi, in realtà urla pressoché incomprensibili, che dovrebbero trattare della ricerca di un significato in un universo che sembra indifferente) e dai perenni tappeti tastieristici, che sono spesso presenti in sottofondo e che a tratti si prendono il centro della scena in piccoli sprazzi dal sapore ambientale. Mescolate a tanta velenosa aggressività ci sono anche malinconiche melodie chitarristiche, che emergono dal putridume di una registrazione ultra cantinara, della quale non ci si deve comunque lamentare troppo, trattandosi di una caratteristica connaturata al genere in questione (senza non potremmo parlare di raw black metal, o no?).
Il tutto suona come una sorta di tributo ai bei tempi andati e a quella tradizione della quale il nostro amico vorrebbe essere considerato un credibile continuatore. Ecco, se lo inquadriamo in questi termini, un lavoro come questo “Sorte Makt” può dare le sue soddisfazioni uditive, anche se è abbastanza evidente che non si differenzia in maniera netta dalle decine (se non centinaia) di altri lavori sulla stessa lunghezza d’onda che tutti noi abbiamo avuto modo di ascoltare nel corso degli anni. Lo spirito avanguardistico dei primi anni novanta è ormai inevitabilmente venuto meno ma la scuola rimane e a quanto pare continua a vantare molti devoti discepoli. A voi la scelta, io personalmente almeno un ascolto lo consiglio.