“Thanatopoeia” è l’essenza del black metal più scarno e ruvido nel 2024. Potrebbe sembrare una frase forte ma, dopo vari ascolti di questo album, possiamo dire che non si tratta di un’affermazione azzardata. Provenienti da Mosca, i Meister Leonhardt tornano sul mercato con questa seconda fatica (il primo lavoro, omonimo, era datato 2021), e lo fanno nel modo più prepotente possibile, regalandoci quello che è a tutti gli effetti un “hot album”, ispirato, maligno, oscuro e cattivo, dove tutto è al posto giusto: un concentrato di violenza mai fine a sé stessa, una sorta di assassino intelligente, che conosce i tuoi punti deboli, prima ti destabilizza psicologicamente e poi attacca in maniera letale. Non ci trasmise molto il primo lavoro, che ci sembrò privo di identità e sostanza, ma su “Thanatopoeia” sembra di aver a che fare con un’altra band e altra musica: uno tsunami di rabbia e perversione, un profeta di sventura portatore di peste, che semina morte ad ogni suo passo attraverso un black metal essenziale, gelido e nichilista, espresso in otto inni dell’orrore dai connotati grotteschi e ipnotici. E già l’opener “Bliss Of Impermanence” fa sul serio: un incipit anestetizzante che, dopo una suadente introduzione, si evolve in un mid tempo dai tratti vagamente doom.
Ma è con “Defossion Transcendence” che si svela l’altra faccia della band: un pezzo tirato e complesso, con l’interferenza di clean vocals dal retrogusto liturgico che ne abbelliscono l’aspetto. Basta quindi poco per capire che abbiamo tra le mani un disco superiore alla media e la conferma arriva con la doppietta letale “Malevolence Supreme” e “The Fulcrum”, uno spettacolo morboso dove mostri mettono in scena tragedie che distruggono gli animi; per non parlare di “The Imago Paradigm”, una celebrazione della morte e del morire, del nulla che sta alla fine della nostra strada di lacrime. Ed ecco che, pezzo dopo pezzo, il disegno si completa e ciò che ne deriva è il messaggio (già suggerito dal titolo) che la band vuole trasmettere, con i suoi ritmi contorti e tribali e i riff incalzanti e ipnotici: alla morte non c’è soluzione alcuna, l’oscurità ingoierà la vita nella sua più profonda malinconia a dispetto di qualunque rituale funebre. Il suono di “Thanatopoeia” è barbaro e intriso di malvagità, ma al contempo pulito e sobrio, grazie alla meticolosità del master finale che rende giustizia al lavoro sempre schizofrenico e malato delle due chitarre, mai domo e senza pace, così come alle vocals evocative e spietate. Vogliamo ancora spendere parole per questo disco? Non servono; basta premere il tasto play e prendere un biglietto di sola andata per questo ributtante viaggio condotto in maniera eccellente dai Meister Leonhardt che, uniti in un’alleanza macabra con la Purity Through Fire, rilasciano un disco di grande interesse. Attenti all’arrivo della notte, tenete sempre il fuoco acceso perché ci potrebbe essere il pericolo di non tornare alla luce.