Dauþuz – Uranium

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Che il nome della band voglia dire “morte” in tedesco già lo sapevamo, così come che i ragazzi hanno una vera e propria passione maniacale per il mondo minerario, raccontato in maniera affascinante nei loro dischi, ognuno dei quali racchiude un concept intrigante e mai banale. Questa versione romanzata e fantastica di un tempo che fu (non così tanto lontano) si è tradotta in poco meno di un decennio in cinque album che, se ascoltati attentamente, potrebbero definire la band come l’equivalente degli AC/DC nel black metal, per la coerenza stilistica che accomuna ogni uscita, tutte molto simili ma ciascuna con una propria identità. Non aspettiamoci quindi evoluzioni nel songwriting o nello stile dei Dauþuz ma neppure accenni al precedente “Vom Schwarzen Schmied – Bergkgesænge”, che riproponeva in chiave acustica “Vom Schwarzen Schmied”: qui si torna a martellare black metal ossuto e feroce, zero influenze esterne. “Uranium” rappresenta al meglio quello che la band ha suonato dal primo momento a oggi, senza un minimo stravolgimento. Al massimo si percepisce una maggiore consapevolezza nel songwriting, con composizioni più snelle, seppur complesse, che danno libero sfogo a quelle influenze pagane e atmosferiche che da sempre contraddistinguono il sound della band. Questo in fondo è il bello dei Dauþuz, che se ne infischiano di essere una realtà underground nel senso più stretto del termine, destinata a rimanere tale. “Uranium” parte con un’intro brevissima, un contatore geiger che impazzisce per aprire a “Pechblende (Gedeih und Verderben)”, canonico pezzo che danza tra la classica seconda ondata e i più tipici riferimenti al black metal tedesco anni novanta, con vocals che si alternano tra urla laceranti e vocalizzi puliti, chitarre in tremolo e una batteria sempre frenetica: un brano che racchiude a tutti gli effetti l’essenza della band, vista anche la lunga durata.

La seguente “Radonquell 1666” ha un incedere inizialmente quasi intimista e soffuso, per poi esplodere nel tipico black metal made in Dauþuz, mantenendo però un andamento evocativo, sottolineato dai cori in clean e alcuni growl più profondi che danno maggiore dinamica ad un pezzo lungo e contorto, come a voler trascinare l’ascoltatore, tra vari cambi di tempo, dentro i cunicoli labirintici di uno scavo minerario. Tuttavia è proprio quando la band decide di approcciarsi a pezzi più brevi che riesce a colpire nel segno, entrando facilmente in testa con maggiore impatto e potenza, senza tralasciare il suo piglio mefistofelico né snaturare i suoi tratti distintivi. Ascoltando “Wüst Die Heimat” e “Wismut Justiz” ne abbiamo la riprova: qui la band restringe i tempi di esecuzione e migliora la messa al fuoco, utilizzando comunque tutte le frecce al proprio arco ed enfatizzando il lato più “pagan”, ma anche quello più epico, delle composizioni.

Per non dilungarci oltre possiamo esprimere in maniera concentrata “Uranium” come un saggio di fedeltà da parte di una band che vuole fare questo e basta, ed ha interesse unicamente a continuare il suo percorso di divulgazione settoriale storica senza cercare nuove proposte strumentali, compositive o liriche. Di sicuro questa nuova fatica, di non immediata assimilazione come tutte le loro precedenti, sarà oro colato per chi già conosce e ama la band ed è avvezzo a sonorità contorte, pur non raggiungendo i livelli di “Monvmentvm” o di “Grubenfall 1727”: black metal di classe, suonato con una tecnica di livello decisamente elevato. Radioattivi.

REVIEW OVERVIEW
Voto
72 %
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dauthuz-uraniumTRACKLIST <br> 1. Pechblende (Gedeih Und Verderben); 2. Radonquell 1666; 3. Wüst Die Heimat; 4. Ein Werkzeug Des Todes; 5. Wismut Justiz; 6. Uranfeuer 55 <br> DURATA: 50 min. <br> ETICHETTA: Amor Fati Productions <br> ANNO: 2024