Gli album che suonano orgogliosamente come demo erano il pane quotidiano nella prima metà degli anni novanta, periodo mai troppo rimpianto da grandi e piccini. Ed è proprio da lì che sembra uscito questo “Heic Noenum Pax”, opera prima dei romani Vox Inferi, quintetto di formazione piuttosto recente che tuttavia ha già avuto modo di condividere il palco con realtà importanti come Necromass e Satanic Warmaster. Innanzi tutto il titolo, che i più maniaci di voi avranno certamente notato essere una citazione in latino medieval-maccheronico tratta da “De Mysteriis Dom Sathanas” dei Mayhem, quasi a rimarcare, non saprei se consapevolmente o meno, un certo senso di appartenenza o comunque di continuità rispetto a quella scena musicale. E poi il concept, che se ho ben capito dovrebbe fare riferimento alla discesa agli inferi dell’anima di un suicida: un bel giretto tra i gironi danteschi per scoprire che, in fondo, l’inferno è probabilmente proprio il mondo in cui viviamo. E poi ancora la veste grafica, davvero stuzzicante, dal momento che ad ogni canzone è stata associata un’illustrazione in uno stile horror fumettoso, quasi a metà strada tra il tratto di alcuni albi di Dylan Dog e l’estetica di “Creepshow”, come quella che potete vedere in copertina, dove fa bella mostra di sé un trittico raffigurante, al centro, una madre mostruosa che divora il proprio figlio (che dovrebbe rappresentare una sorta di metafora del rapporto tra natura e essere umano) e, ai lati, una versione zombesca dei Santi Pietro e Paolo, patroni della città di Roma.
Questi elementi fanno da interessante cornice ad una musica che si incarna in un black metal rivolto sostanzialmente al passato, per essere più precisi al periodo che va tra la prima e la seconda ondata, dal carattere primordiale e dal piglio scarno ed essenziale. Un black metal che tuttavia non disdegna qua e là puntatine in territori più marcatamente punkeggianti, così come di lasciarsi spesso e volentieri imbastardire da sonorità più death oriented, comunque di quello concepito nella sua forma più lineare e sempre vecchio stile, a cavallo tra fine anni ottanta e primi anni novanta. Si potrebbe dire quindi che nella musica del gruppo capitolino sembrano in qualche modo convivere queste tre anime. E se quella più affine al black metal di stampo tradizionale è senz’altro prevalente, le altre emergono in maniera più sporadica ma comunque netta, riuscendo a prendersi la ribalta quel che tanto che basta per tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore.
Come avviene in maniera piuttosto evidente in “Amebas” e “Funeral Mask Phenotype”, che cito tra gli episodi migliori del lotto, esempi di come la band nostrana sia in grado di amalgamare con buona dinamicità diverse influenze all’interno di un songwriting che resta fondamentalmente compatto e, nel bene e nel male, confinato nell’ambito di un recinto sonoro ben delineato e immediatamente riconoscibile fin dalle prime note. Un recinto sonoro al quale, come si accennava all’inizio, rimanda a pieno titolo anche la produzione, decisamente analogica e sporca il giusto, con quello strato di polvere che affascina e sottolinea, tra un fruscio e l’altro, la natura retrò di questo disco senza far scadere il tutto nella cacofonia fine a sé stessa. In definitiva questo “Heic Noenum Pax” è un disco autenticamente underground, nostalgico e per nostalgici, senza che al termine debba attribuirsi necessariamente un significato di valore, positivo o negativo che sia. Un buon debutto, il cui ascolto consiglio di sicuro.