Lo snervante caldo estivo ha ormai fatto posto a temperature più fresche e il nuovo disco dei Servant sembra essere l’ideale per allietare le nostre nostalgiche giornate autunnali. “Death Devil Magik” si preannuncia una colonna sonora di tutto rispetto in puro stile teutonico, terzo capitolo di questa band che dalla sua nascita nel 2021 ha mantenuto standard qualitativi sempre piuttosto elevati, e i quaranta minuti di questo platter ce ne danno conferma. Il combo sassone è autore di un black metal molto radicato nella tradizione locale, veloce, violento ma sempre drammaticamente melodico e triste, curato in ogni dettaglio con arrangiamenti superiori alla media, abbelliti da una produzione al limite del perfetto, come quasi sempre accade per i lavori targati AOP Records. Chiaramente approcciandosi ad un disco simile sarebbe del tutto fuorviante andare a cercare la novità, perché questo è il classico lavoro che ribadisce un concetto di black metal fatto di cattiveria e violenza ma anche di atmosfere dannate e riflessive, connubio che i Servant dimostrano di saper padroneggiare in maniera egregia, senza l’ausilio di particolari “diavolerie moderne”.
Dire che il combo tedesco è una band “true” non significa dire che suoni come lo si faceva trent’anni fa: i Servant infatti hanno preso tutti gli elementi tipici del genere, li hanno elaborati e fatti propri, e ce li ripropongono con disinvoltura e naturalezza grazie ad un sound che risulta incredibilmente al passo con i tempi, cosa che risultava abbastanza chiara anche nelle loro precedenti uscite discografiche. Se l’inizio con “Temple” è il classico attacco frontale che non fa prigionieri, già in “Sin”, tra una sfuriata e l’altra, si inizia a percepire il lato più atmosferico della loro musica, che può essere definito quasi “catchy”, grazie a suoni sufficientemente patinati che esaltano a dovere la performance esecutiva, come avviene emblematicamente nella più rarefatta “Devil” e nella strumentale “Hope”.
Con la seconda parte del disco andiamo incontro alle tracce più sfaccettate, come avviene in “Fury”, tra i migliori brani del lotto e probabilmente tra i migliori brani in assoluto scritti dalla band. C’è tanta malinconia nel sound e ci sono diverse influenze riconducibili a quello che può essere definito blackened death metal di scuola svedese ma più che ai compianti Dissection il pensiero va ai Netherbird più drammatici e in overdose di ispirazione (con le dovute proporzioni). Spetta a “Litany” e “Magick” il compito di chiudere questo viaggio nel migliore dei modi, e si tratta forse dei pezzi più rappresentativi dell’album, dove troviamo un’unione letale di violenza e melodia senza compromessi: sarebbero sufficienti queste due canzoni per consigliare l’acquisto di un disco di ottimo livello, in un sottogenere caratterizzato da troppe uscite di scarsa qualità, che ormai soffre di una certa ridondanza.
Senza inventare nulla di nuovo in senso stretto la band tedesca indossa l’abito buono e ci regala un disco di tutto rispetto che ci farà lasciare alle spalle l’estate in soli quaranta minuti aprendo le porte di un inferno di ghiaccio nel quale i molti fans del genere si troveranno a proprio agio.