Nel 2021 “As The Flame Withers” fu uno dei dischi dell’anno e, col senno di poi, lo possiamo tranquillamente annoverare tra i migliori black metal album degli ultimi anni. Vuoi per una line up “all star”, vuoi per una produzione perfetta e per un songwriting mai banale e di altissimo livello, il primo disco della band rimarrà probabilmente qualcosa di inarrivabile per gli stessi Yoth Iria. È tempo però di guardare al presente, che prende il nome di “Blazing Inferno”, nuovo full length degli ateniesi guidati dal mastermind Jim Mutilator, questa volta nel ruolo di leader assoluto, non dovendo più condividere lo spazio creativo con personaggi ingombranti come Magus e George Emmanuel. E se non si raggiungono le vette del debut anche questa volta abbiamo a che fare con un buonissimo lavoro che, se da un lato perde in parte la magia e la spiritualità del predecessore, dall’altro ne guadagna in personalità, acquisendo una direzione ben precisa. Nessuno stravolgimento stilistico, sia chiaro: la matrice ellenica del black metal degli Yoth Iria si manifesta soprattutto in quelle sonorità dal retrogusto etnico, folk e mediterraneo che i Rotting Christ adottarono in maniera sempre più massiccia a partire da “Aealo” e che qui non solo sono ben presenti ma svolgono un ruolo da protagonista in tutta la mezz’ora abbondante di durata del disco.
Una release dal minutaggio abbastanza contenuto, che risulta compatta e lineare senza tralasciare gli innumerevoli cambi tempo e le sfaccettature atmosferiche, che fin dagli esordi rappresentano una sorta di marchio di fabbrica della band e conferiscono maggiore longevità all’ascolto. Anzi sembra proprio che Jim Mutilator e compagni nella scrittura dei pezzi abbiano avuto l’intento di snellire le composizioni, alleggerendole di quei contenuti che dilatavano il timing e dando più spazio ad un approccio maggiormente in chiave live. Quasi ogni pezzo meriterebbe una menzione, a partire dalla title track posta come opener, con il suo incipt pachidermico, quasi doom, piuttosto atipico per un disco black: un brano che si fa apprezzare per la sua dinamica e le melodie che si stendono in chiaroscuro sino al break centrale, caratterizzato da un riff che in un attimo ci trasporta nei paesaggi sonori più consueti del black metal di matrice greca. Con la seguente “But Fear Not” la band alza ulteriormente l’asticella con un pezzo maledettamente heavy, addolcito dai suoni suadenti e folk della lira che tessono melodie mediterranee, dando vita a uno degli apici del disco insieme alle conclusive “Our Father Rode Again His Ride” e “We Call Upon the Elements”, nelle quali soprattutto emerge la prova maiuscola del nuovo vocalist He, al secolo Rustam Shakirzyanov, che in questi brani amplia il suo range vocale intrecciando il cantato con (ancora una volta) le note della lira, strumento che quando entra in gioco riesce sempre a creare numerose e apprezzabili sfumature.
Il lavoro è sorretto da una produzione cristallina, sicuramente di livello superiore per un disco undergroud, essenziale per permettere che ogni singolo strumento sia ben udibile senza lasciare niente al caso. Gli Yoth Iria lanciano la loro magia oscura attraverso un mix avvincente e ottimamente bilanciato tra imponenza atmosferica e maestosa epicità, con le sonorità etniche a fare da contorno e la classica orecchiabilità melodica, che evoca i fasti antichi di una terra grandiosa. Considerato il totale cambio di line up questo è un ritorno inaspettato e con pochi punti deboli che, dopo il mezzo passo falso dell’ultimo Rotting Christ, apparentemente sempre più arenati su soluzioni prevedibili e cinematografiche, fa tornare alla ribalta la frangia più occulta e luciferina del black metal greco, in attesa che pure gli Yoth Iria puntino ad essere qualcosa di più di una semplice band underground (ma pensiamo sia solo questione di tempo).